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Se si violano le norme sull'altezza massima dei fabbricati confinanti si ha diritto solo ad un risarcimento

Solo le norme speciali che regolano le distanze legali sono integrative del Codice civile e la loro inosservanza può determinare l'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi

di Roberto Rizzo

In relazione alla tutela del diritto di proprietà, quando viene modificata l'altezza originaria di uno dei fabbricati confinanti, a seguito di sua demolizione e successiva ricostruzione, il giudice può riconoscere al danneggiato unicamente la tutela risarcitoria e non imporre all'autore materiale dell'intervento edilizio il ripristino dell'originaria costruzione.
Non è ammesso, in tali ipotesi, il ricorso alla disciplina dettata in materia di distanze legali ed alle forme di tutela previste per la loro violazione, attesa la differente natura degli interessi coinvolti.La normativa sull'altezza dei manufatti, infatti, protegge unicamente il valore economico della singola proprietà nell'ambito degli interessi tra privati, con conseguente ammissibilità del solo diritto al risarcimento del danno effettivamente subito e dimostrato.

I fatti di causa

Con questi principi di diritto, enunciati nell' ordinanza 18581 del 9 giugno 2022, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto da una società che aveva proceduto alla demolizione di un capannone industriale, posto sulla linea di confine con la proprietà del resistente, realizzando in sua vece un edificio residenziale più alto.Disattese, per contro, tanto la pronuncia del Tribunale di Pavia che quella della Corte d'appello di Milano, con le quali, in accoglimento della tesi avversaria, i giudici di merito avevano condannato la ricorrente all'abbassamento della nuova costruzione entro i limiti originari.

Osserva, al riguardo, la Cassazione che, in tema di distanze legali, le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in relazione all’altezza, che determinino la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, sono da ritenersi integrative delle norme di rango primario del Codice civile.Al contrario, le norme che disciplinano solo l’altezza in sé degli edifici, senza nessuna relazione con le distanze intercorrenti tra gli stessi, proteggono, nell’ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà (privata) dei vicini.

Quando sussiste l’obbligo di riduzione in pristino

La conseguenza pratica è che, nel primo caso, sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, mentre nel secondo, invece, è ammessa unicamente la tutela risarcitoria (Cassazione 5142/19).Censurabile, dunque, la decisione della Corte d'appello che ha impropriamente sovrapposto il profilo della determinazione della distanza a quello della mera limitazione dell’altezza massima dei fabbricati, in tal modo riconoscendo la tutela contemplata dall’articolo 872 secondo comma Codice civile anche ad una ipotesi in cui ad essere ravvisabile era, esclusivamente, la violazione delle disposizioni in tema di altezze massime.

Il diverso onere probatorio

Interessante rilevare, inoltre, come a seconda della diversa disciplina applicabile sia differente anche l'onere probatorio sussistente in capo al danneggiato.Infatti, laddove risultino violate le norme afferenti alle distanze legali tra gli edifici, il soggetto che assuma una lesione della propria posizione giuridica soggettiva ha il diritto di ottenere la demolizione dell’opera illegittimamente eseguita per il fatto stesso che quest'ultima sia stata realizzata; si tratta, dunque, di un danno sussistente in se stesso.

Ove, invece, si verta in materia di norme che regolano la sola altezza massima degli edifici, chi assume di aver subito un danno dalla costruzione in elevazione, ha l'onere di provarlo concretamente.Si ricorda, sul punto, un importante precedente che ha improntato l'intera successiva produzione del massimo consesso: «(…) L’onere della prova dell’effettiva sussistenza del danno riguarda esclusivamente le norme edilizie diverse da quelle integrative del Codice civile, per le quali compete soltanto il diritto al risarcimento, se e nella misura in cui si sia verificato il danno, mentre il diritto alla riduzione in pristino, mediante la demolizione della costruzione sino al limite della distanza prescritta dal Codice civile o dai regolamenti locali, sorge per il solo fatto dell’indicata violazione di tali norme indipendentemente dall’effettiva esistenza del danno» (Cassazione 3503/1987).

Conclusioni

Alla luce di queste considerazioni, dunque, inevitabile, per la Suprema corte la cassazione della pronuncia impugnata ed il rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, per un nuovo esame della controversia alla luce dei principi enunciati in sede di legittimità.