Condominio

Senza la firma di tutti i condòmini, non si può riconoscere un diritto esclusivo sul bene comune

Per potersi realizzare la mutazione del cortile da bene comune a bene esclusivo, ogni compartecipante deve firmare la convenzione

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di Ivana Consolo

Può una semplice scrittura privata determinare il mutamento di destinazione di un bene?
Più precisamente, è possibile che mediante una convenzione, un bene condominiale possa diventare bene ad uso e godimento esclusivi? È la Suprema corte a darci la risposta, e lo fa con un composito ed articolato provvedimento: l’ordinanza numero 20111 emessa dalla seconda sezione civile in data 22 giugno.

I fatti di causa

La controversia che fa da sfondo alla pronunzia in esame, vede contrapporsi le ragioni di una singola condòmina e quelle della restante compagine condominiale. Oggetto del contendere è un’area esterna al fabbricato, per l’esattezza un cortile, su cui la condòmina rivendicava il diritto esclusivo di fruizione e godimento, mentre il condominio ne ribadiva la natura di bene comune. Si svolgevano due gradi di giudizio che vedevano il condominio quale parte convenuta, e che portavano all’emissione di due provvedimenti sfavorevoli per la condòmina, che dunque si determina a rivolgersi alla Cassazione.

Le argomentazioni contrapposte

Ma quali argomentazioni difensive erano state addotte in corso di causa?Anzitutto, occorre capire sulla scorta di quali elementi l’istante riteneva di avere diritti esclusivi sul cortile. Ebbene, la condòmina faceva leva su di una scrittura privata del 2003, con la quale i condòmini le avevano ceduto i propri diritti sul bene. Forte di tale documento, la condòmina riteneva di poter contestare ogni contraria argomentazione del condominio, nello specifico, chiedeva la declaratoria di nullità o, in subordine, l’annullamento di una delibera condominiale del 2012 relativa all’uso dello scoperto comune, che di fatto privava di valore la convenzione del 2003.Il condominio, dal canto suo, contestava il valore della scrittura privata invocata dalla condòmina, in quanto non sottoscritta da tutti compartecipanti e dunque inefficace.

Inoltre, evidenziava come il cortile in parola fosse utilizzato come area di parcheggio, fosse stato delimitato con barriera di passaggio esattamente l’anno dopo la predisposizione della scrittura privata, ed infine, sottolineava che la condòmina fosse perfettamente a conoscenza del contenuto del regolamento condominiale, che ricomprendeva l’area scoperta tra i beni comuni.Come si diceva, sia in primo che in secondo grado le ragioni della condòmina vengono ritenute non meritevoli di accoglimento alcuno, tanto da indurre la soccombente ad avviare un terzo grado di giudizio.Diviene dunque interessante capire come viene valutata la vicenda dagli ermellini.

Il ricorso in Cassazione

Nel rivolgersi agli alti giudici di Piazza Cavour, la condòmina predispone un ricorso che riprende e rafforza le argomentazioni già usate nei gradi precedenti, articolandolo in tre motivi:
–pieno valore della scrittura privata;
–contestazione della natura condominiale del cortile;
–acquisto per usucapione dell’area scoperta.

Quanto al primo motivo, la ricorrente ritiene che la sentenza di Corte d’appello fosse errata laddove sosteneva che in appello fossero stati estesi, o comunque modificati, “i confini” della domanda originaria (accertamento della validità della scrittura privata), introducendo l’accertamento dell’avvenuta cessione di quote da parte dei condòmini. Secondo l’assunto di parte ricorrente, non si tratterebbe di un ampliamento/mutamento, bensì di una migliore specificazione della domanda.Quanto al secondo motivo, si sostiene che i giudici di secondo grado abbiano errato nel dare per assodata la natura condominiale del cortile senza esigere una prova valida in capo al condominio.

La ricorrente esclude la condominialità del bene in quanto catastalmente distinto dal fabbricato, e non identificabile con l’area su cui sorge lo stesso. Va dunque esclusa la fondatezza della rivendica spiegata dal condominio, pienamente accolta in appello.Quanto, infine, al terzo motivo, la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare la domanda di usucapione formulata dalla ricorrente fin dal primo grado di giudizio, con ciò ignorando la rilevanza della confessione stragiudiziale del condominio che, nella scrittura privata del 2003, riconosceva come il cortile fosse stato in uso ed in godimento della condòmina e della sua famiglia fin dalla fine degli anni ’70.

La decisione

A questo punto, si può procedere con la disamina giuridica elaborata dagli ermellini che, come si vedrà, conduce al rigetto totale delle doglianze della ricorrente.La Cassazione non lesina argomentazioni, ed analizza puntualmente tutti e tre i motivi di ricorso.Circa l’inefficacia della scrittura privata del 2003, essa deriverebbe essenzialmente dalla circostanza che non sia stata sottoscritta da tutti i condòmini. Per potersi avere l’effetto desiderato dalla condòmina, ovvero la cessione delle quote di tutti in suo favore e, dunque, la mutazione dell’area scoperta da bene comune a bene su cui esercitare un diritto esclusivo d’uso e di godimento, ogni compartecipante avrebbe dovuto firmare la convenzione. Difatti, se non interviene un atto con cui i partecipanti alla cosa comune si spoglino dei beni esclusivi, con ciò dismettendo anche i diritti naturalmente spettanti sui beni comuni, non muta la natura della compartecipazione; non si passa cioè da una situazione di condominio ad una di normale comunione.

Alla stessa maniera, soltanto una deliberazione assembleare adottata all’unanimità avrebbe potuto comportare il cambio di destinazione del cortile, privandolo della sua natura di bene condominiale. Dato che nulla di tutto ciò è avvenuto, la scrittura privata del 2003 appare inefficace, quindi improduttiva degli effetti voluti dalla ricorrente. L’inefficacia che affligge l’atto è relativa, ovvero non può esser fatta valere da chiunque, ma soltanto dal compratore il quale, qualora non intenda farla valere, può legittimamente pretendere che il contratto produca effetto solo ed esclusivamente nei confronti di coloro che vi hanno preso formalmente parte.In appello, la convenzione era stata dichiarata addirittura nulla, per l’effetto della rivendicazione del bene da parte del condominio che aveva fatto valere fin da principio il difetto di sottoscrizione da parte di tutti i condòmini.

Non richiamabile un assenso di fatto

La ricorrente, sostiene che non fosse possibile dichiarare la nullità, perché i condòmini avevano in un certo senso contribuito ad avallare il valore della scrittura privata, accettando le prestazioni rese dalla condòmina quale corrispettivo del riconoscimento dell’uso esclusivo. Dato che non è possibile ripetere tali prestazioni, perché già consumate, secondo l’istante la validità della convenzione è comunque salva. Gli ermellini smontano anche tale assunto, argomentando in merito alla piena facoltà di chiunque ne abbia interesse a chiedere la nullità del contratto, indipendentemente dall’esistenza di prestazioni non più ripetibili rese in ossequio al cosiddetto sinallagma.

Venendo ora al profilo della condominialità del bene, la Cassazione destituisce di fondamento le argomentazioni della ricorrente, asserendo che, proprio quanto si ricava dalla scrittura privata tanto invocata dall’istante, sarebbe la conferma che il bene avesse sin dall’origine natura condominiale.Quale senso avrebbe mai avuto la stipula di una convenzione, se il bene fosse stato da sempre della condòmina o della sua famiglia?A parte tale logica conclusione, gli ermellini si soffermano anche su quanto appare pienamente consolidato in fatto ed in diritto.

Ebbene, tutte le aree esterne al fabbricato, la cui funzione o destinazione può essere agevolmente riconducibile alle singole unità abitative, dunque all’utilità ed al godimento dei condòmini, si presumono parti comuni ai sensi dell’articolo 1117 del Codice civile. Se in sede di contestazione il condominio fornisce anche prova dell’utilizzo comune di una data area scoperta, ciò avvalora l’orientamento esistente. Nel caso di specie, il condominio aveva dimostrato che l’area servisse da parcheggio condominiale; dunque non merita alcun accoglimento la questione sollevata dalla ricorrente.

Dell’usucapione va fornita piena prova

Da ultimo, i giudici di Piazza Cavour si soffermano sulla domanda di usucapione. Dai documenti di causa, era emerso che nei precedenti gradi di giudizio si fosse proceduto ad escussione testi, le cui testimonianze avevano confermato che, prima della stipula della convenzione del 2003, non sussisteva alcuna prova a favore della condòmina circa un possesso ventennale e connotato dai requisiti utili ad usucapire il bene.La Cassazione ribadisce che il giudizio di legittimità non può entrare in ambito probatorio, e dunque, se nei precedenti giudizi di merito si era addivenuti in via istruttoria a dimostrare l’esclusione dell’usucapione, si doveva necessariamente accogliere tale esito.

A questo punto, possiamo dare risposta all’interrogativo posto sin dall’inizio del presente articolo: una semplice scrittura privata, cui non abbiano partecipato tutti i condòmini, non può determinare il mutamento di destinazione di un bene. Un ricorso che punti a tale risultato, verrà smantellato e rigettato; esattamente come è accaduto nel caso di specie, che si conclude con la definitiva restituzione del cortile alle sue funzioni, destinazione, uso e godimento.

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