Sequestro preventivo: possono opporsi il Pubblico ministero e gli interessati
Il caso in esame era relativo ad un seminterrato utilizzato con funzioni di bagno e cucina da oltre un secolo
La Cassazione, con la sentenza numero 13624 del 2020 , ha accolto il ricorso proposto da una persona fisica nei confronti del Tribunale di Napoli, annullando l'ordinanza del 16 ottobre 2019 e rinviandola per un nuovo esame al Tribunale di Napoli. Nell'ordinanza era stato disposto il sequestro preventivo di un seminterrato a disposizione dell'attore ricorrente.
I motivi del ricorso
L'attore articolava il ricorso sulla base di sei motivi di impugnazione, nel primo dei quali, rievocando nella sostanza la vicenda e la situazione conflittuale col vicino proprietario, riteneva che il Pubblico ministero non potesse appellare un provvedimento di rigetto di una misura cautelare reale. Osservava, nel secondo motivo, che la vicenda cautelare rappresentava il terzo momento di un'originaria fattispecie e che l'intera unità abitativa era stata da sempre utilizzata, nel suo piano seminterrato, per cucina e bagni.
Il Pubblico ministero, senza adottare il sequestro d'urgenza, contestava solamente il mutamento di destinazione d'uso, mentre il Giudice per le indagini preliminari disattendeva la richiesta cautelare in ragione del divieto. Il provvedimento di quest'ultimo, essendosi attribuito una competenza che non gli apparteneva, andava annullato per violazione di legge.
Una violazione nella quale il ricorrente osservava, nel terzo motivo, un provvedimento di improcedibilità, per cui il Pubblico ministero avrebbe dovuto ricorrere per Cassazione trattandosi di questione di competenza, e non appellare al Tribunale della libertà. Col quarto motivo, evidenziava che al Pubblico ministero era stato consentito di riproporre le stesse considerazioni già svolte, senza allegare alcun elemento di novità, riproponendo il dissenso dal provvedimento impugnato, introducendo, in questo modo, un regime differenziato tra le parti processuali. Inoltre, con il quinto motivo, per l'attore, se l'appello non sospendeva il provvedimento impositivo, in difetto di imposizione il provvedimento non poteva essere eseguito in assenza di definitività.
Il ricorrente concludeva le motivazioni eccependo un travisamento del fatto, tenuto conto della mancata considerazione delle risultanze delle indagini e delle stesse deduzioni difensive, che dimostravano l'infondatezza del cambio di destinazione d'uso, evidenziata già dal rogito risalente agli inizi del novecento.
La decisione
La Suprema Corte, giudicava infondato il primo motivo di ricorso, ribadendo che nelle ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero, possono proporre appello il pubblico ministero e l'indagato, e le persone direttamente interessate dalle conseguenze del sequestro, ovvero la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
Quest'ultima categoria può, tuttavia, proporre appello soltanto contro un provvedimento che imponga il sequestro o che ne mantenga gli effetti, mentre la prima può proporre appello, purché vi abbia interesse in concreto contro qualsiasi provvedimento del giudice che abbia ad oggetto il sequestro. Date queste premesse, l'univoco riferimento, da parte dell'articolo 325 Codice di procedura penale, al “decreto” di sequestro induce a ritenere possibile il ricorso solo nei confronti del sequestro preventivo e ad escluderne l'applicabilità in ordine al decreto di rigetto della richiesta di sequestro preventivo.
In merito al secondo profilo, nell'ordinanza impugnata si evidenziava il mutamento di destinazione d'uso nell'ambito dei centri storici, ragion per cui il Pubblico ministero aveva proceduto in via autonoma senza richiedere l'emissione del vincolo al Giudice del dibattimento. Scelte processuali discrezionali della parte pubblica che non possono essere censurate in sede di Cassazione.
Senza alcun fondamento il terzo motivo, dove veniva invocato il principio per il quale, in tema di appello di misure cautelari reali, il Tribunale della libertà non può sostituirsi al primo giudice violando il principio devolutivo e non può limitarsi a dichiarare la nullità del provvedimento impugnato, dovendo, una volta dichiarata la nullità, trasmettere gli atti al primo giudice, per non privare la parte di un grado del giudizio cautelare e di consentirle di redigere motivi specifici di impugnazione qualora debba dolersi delle ragioni di un eventuale rigetto della domanda. L'appellante aveva insistito per l'accoglimento del vincolo, assumendo la novità delle opere edilizie e non limitandosi a censure processuali.
In ordine al quarto motivo, il Pubblico ministero aveva insistito per l'accoglimento dell'impugnazione ribadendo che si trattava di opere edilizie nuove e differenti rispetto a quanto ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari. L'assenza di elementi di novità, invocata dal ricorrente, era riferibile a tutt'altra fattispecie nella quale si osservava che il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l'ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari.
Quando invece il Tribunale accoglie l'impugnazione proposta dal Pubblico ministero e dispone la misura cautelare reale, ha comunque l'obbligo di valutare la sussistenza di tutti i presupposti del sequestro preventivo, a prescindere dai motivi proposti, non potendo l'effetto devolutivo essere interpretato in senso riduttivo e meccanicistico, essendo i profili sostanziali presupposti collegati ai motivi dedotti e vanno apprezzati dunque non soltanto nel giudizio di riesame, ma anche in sede di appello.
In tema di misure cautelari reali, riguardo il quinto motivo, è immediatamente esecutiva l'ordinanza emessa a norma dell'articolo 322-bis Codice di procedura penale dal Tribunale del riesame che, in accoglimento dell'appello del Pubblico ministero, abbia disposto il sequestro preventivo, in quanto la clausola di compatibilità che regola il rinvio alle disposizioni di cui all'articolo 310 Codice di procedura penale, esclude l'operatività del terzo comma di questo articolo, ai sensi del quale l'efficacia del provvedimento è differita fino alla definitività dello stesso, trattandosi di previsione riferita esclusivamente alla libertà personale.
Gli ermellini infine hanno ritenuto fondato il sesto motivo di impugnazione, tenuto conto che, nonostante l'ordinanza impugnata non avesse tenuto conto delle considerazioni secondo cui già dagli inizi del Novecento i locali erano destinati all'uso di cucina e bagno, il provvedimento comunale di inefficacia era stato sospeso dal Giudice amministrativo, senza alcun confronto con i rilievi difensivi.
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