Condominio

Si possono aprire luci e vedute sul cortile, lecite anche se non rispettano le distanze

di Paolo Accoti

I cortili condominiali assolvono alla funzione di dare aria e luce all'immobile attiguo, e sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, conseguentemente, possono essere utilizzati dagli stessi, ex art. 1102 Cc, a condizione che non ne venga alterata la destinazione e non si impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
In tale facoltà rientra anche l'apertura di luci e vedute realizzate con lo scopo di ottenere l'aria e la luce proveniente dal cortile comune o, comunque, di affacciarsi sullo stesso, senza che tale facoltà possa subire le limitazioni poste dagli artt. 901 - 907 Cc, siccome norme prescritte a garanzia dei fondi di proprietà esclusiva sulle quali, in caso di contrasto, prevale la speciale disciplina dettata dall'art. 1102 Cc relativa alle cose comuni.
Ed invero tale nuovo approdo giurisprudenziale supera l'orientamento precedente a mente del quale la qualità comune del bene su cui insiste la veduta, non esclude il rispetto delle distanze stabilite dal Capo II, Sezione VII (Delle luci e delle vedute artt. 901 – 907) del Codice Civile.
Questi i principi di diritto espressi dalla II Sezione civile della Corte di Cassazione, Presidente dott. L. Orilia, Relatore dott. G. Grasso, nell'ordinanza n. 17002, pubblicata in data 27 giugno 2018.
Un condomino citava in giudizio i proprietari dell'appartamento contiguo al fine di chiedere il ripristino dello stato dei luoghi, alterato in conseguenza delle opere edili da questi realizzate, consistite – tra le altre – nell'apertura di vedute, luci e balconi sulla corte comune senza, tuttavia, osservare le relative distanze.
Il Tribunale di Sondrio, a seguito della disposta consulenza tecnica d'ufficio, condannava i convenuti alla eliminazione delle vedute dirette e dei balconi realizzati sulla corte comune, oltre alla regolarizzazione delle luci aperte sulla stessa corte, secondo i dettami degli artt. 901 e 902 Cc.
La sentenza veniva confermata in sede di gravame dalla Corte d'Appello di Milano, che respingeva sia l'appello principale che quello incidentale proposto dal condomino vincitore.
La sentenza viene impugnata dinnanzi alla Suprema Corte per violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 Cc, con riferimento agli artt. 905 e 906 Cc, con ricorso incidentale del condomino parzialmente vincitore, che eccepisce la violazione e falsa applicazione degli art. 873 Cc.
La Corte di Cassazione, in relazione al ricorso principale ritiene <<che, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte, la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa o in condominio, soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la fondamentale regola di cui all'art. 1102 c.c., in ragione della sua specialità, a termini della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, senza alterarne la destinazione o impedire agli altri partecipanti di farne pari uso (Cass. 19 dicembre 2017, n. 30528; Cass. 9 giugno 2010, n. 13874; Cass. 19 ottobre 2005, n. 20200, risultando superato l'orientamento risalente a Cass. 21 maggio 2008, n. 12989, secondo cui la qualità comune del bene su cui ricade 13 veduta non esclude il rispetto delle distanze predette)>>.
Ecco che allora, riconosciuto che il cortile condominiale o, comunque, comune, risulta fruibile dai singoli condòmini tenuti solo al rispetto dell'art. 1102 Cc, evidenzia come <<nell'ambito delle facoltà riconosciute rientra anche quella di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte dagli artt. 901-907 c.c. a garanzia della libertà dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, della riservatezza e sicurezza dei rispettivi titolari, considerato che tali modalità di fruizione del bene comune ordinariamente non comportano ostacoli al godimento dello stesso da parte dei compartecipi, né pregiudizi agli immobili di proprietà esclusiva>>.
Conseguentemente il ricorso principale deve essere accolto al pari di quello incidentale atteso che, erroneamente, la Corte territoriale ha ritenuto le opere edile realizzate quale semplice “ristrutturazione”, non tenendo conto che questa attiene ad interventi esclusivamente interni, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, variazione tuttavia riscontrabile nel caso di specie, considerato che è stato accertato un aumento di volumetria pari al 6% (ipotesi di “nuova costruzione”).
Pertanto, la sentenza deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.

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