Il CommentoCondominio

Sociologia abitativa e relazionale in tempi di vita virtuale

La casa deve tornare ad essere lo spazio creato per essere riempito dalla relazione tra gli individui

di Vincenzo Torricelli - sociologo relazionale e professional counselor

Lo spazio da abitare non è più quello di una volta quando, nonostante litigi e pettegolezzi di quartiere, si respirava ugualmente un'aria di solidarietà e di cooperazione tra le persone. Oggi il vivere insieme è cambiato. Il sistema abitativo è cambiato. La società stessa è cambiata. Abitare la casa è cambiato. L'umano è costretto a vivere in ‘spazi virtuali' e ‘non-luoghi', dove la gente si nutre di connessioni senza mai incontrarsi. Parlare di ‘sociologia abitativa' oggi, significa parlare di famiglia, dei valori che essa rappresenta, del suo modo di abitare la casa e del suo modo di vivere la comunità.

Significa parlare delle sue condizioni economiche, del suo ciclo di vita, dei sui ritmi quotidiani, del suo lavoro e del tipo di attività che ogni componente il nucleo familiare svolge e questo non perché si vuole studiare chissà quale dato statistico, ma perché è proprio da come la famiglia «organizza le proprie attività, elabora i propri stili di vita, sperimenta le proprie immagini culturali, esplica le proprie funzioni» che si capisce come l'individuo vive il proprio spazio abitativo, uno spazio fatto non solo di ‘casa', ma di città, di quartieri e di condomìni.

Andrew Riemer, critico letterario, scriveva in un articolo del 1941 (Family life as the basis for home ning, in Housing for health) che «l’aspetto sociale al quale deve contribuire l’abitazione è costituito dalla famiglia senza conflitti». Lo stesso Fernand Braudel (1902-1985), storico francese, affermava che anche le città (e di conseguenza anche i quartieri e le piccole comunità come può essere quello di un condominio) si organizzano, producono e si nutrono di un movimento interno che è fatto di relazioni. Questo significa che l'uomo può costruire case, villaggi, città, stati. Può creare e fissare confini utilizzando porte o alzando dei muri, ma se poi questo ‘spazio creato' non viene riempito dalla relazione tra gli individui sarà uno spazio abitato, ma inutile. Uno spazio vuoto, spettrale, privo di vita.

Un ‘non-spazio' privo di sentimenti dove la gente si incrocia senza mai parlarsi, senza mai intendersi. Uno spazio affollato dove le anime vagano in cerca di se stessi, della propria identità e in cerca della propria ‘verità sociale', non più immaginaria. Oggi, con la globalizzazione molte cose sono cambiate, probabilmente se guardate da un punto di vista diverso, sono peggiorate. All'interno delle nostre case, infatti, proprio perché il concetto di spazio e di tempo è cambiato, possiamo vedere cose che accadono in un'altra parte del mondo e il tutto in tempo reale. Siamo passati da un ‘tempo' disciplinato, determinato, ordinato, prevedibile, come quello scandito dall'orologio a un tempo pieno di ‘nuvole' dove tutto è irregolare, mutevole, caotico, imprevedibile.

Eppure di ‘spazio abitato e di relazione' in sociologia se ne è parlato e se ne continua a parlare poco. Soltanto negli ultimi decenni il pensiero viene ripreso da Arnaldo Bagnasco, sociologo italiano che ci ricorda come il modo di essere di una società dipende quasi esclusivamente dal rapporto che essa ha con lo spazio e il tempo e dalla capacità che essi hanno di influenzare le relazioni tra le persone poiché è all'interno di questo ‘spazio-tempo' che gli individui stanno insieme e si confrontano.