Animali in condominio: il «divieto di vietare» vale per i regolamenti pre-riforma?
La legge di riforma del condominio 11 dicembre 2012, n. 220, tra le altre cose, ha modificato l'articolo 1138 del Codice civile, aggiungendo un ultimo comma secondo il quale «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». La disposizione ha dato avvio a un nutrito dibattito interpretativo.
In particolare - secondo alcune sentenze - la norma inciderebbe esclusivamente sui regolamenti riguardanti divieti di tenuta di animali sulle proprietà esclusive e non anche sulle parti comuni (in questo senso, Tribunale di Monza 28 marzo 2017).
Non solo. Se è pacifico che la nuova norma si applichi a tutti i regolamenti redatti dopo l'entrata in vigore della legge di riforma, qualcuno ha dubitato dell'applicazione retroattiva della disposizione.
In sostanza, cosa succede nei regolamenti contrattuali approvati prima della riforma che vietano il possesso di animali in condominio? Continua ad essere valido il divieto, modificabile solo con il voto unanime dei condòmini proprietari oppure lo stesso deve cedere il passo alla norma del Codice civile?
Sul punto esistono due orientamenti
Il primo, restrittivo, prevede che le disposizioni contenute nel regolamento contrattuale antecedente la legge di riforma non possano essere modificate se non con il parere positivo di tutti i condòmini proprietari.
Il secondo orientamento, che ha natura estensiva, giudica invece la norma retroattiva e di conseguenza anche i vecchi regolamenti devono adattarsi alla nuova disposizione di legge. Tanto più che l'articolo 155 delle Disposizioni di attuazione al Codice civile stabilisce che cessano di avere effetto le disposizioni dei regolamenti di condominio che siano contrarie alle norme richiamate nell'ultimo comma dell'articolo 1138 del Codice e nell'articolo 72 di queste disposizioni.
Il primo orientamento si rifà al principio generale di irretroattività delle leggi disciplinato, nella materia civilistica, dall'articolo 11, comma primo, delle Preleggi al Codice civile, secondo cui «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Tale posizione negli ultimi anni è stata però messa in discussione ed oggi sono in molti a sostenere che il divieto di vietare il possesso degli animali debba trovare applicazione anche nei vecchi regolamenti contrattuali.
Animali portatori di benessere
I sostenitori della seconda tesi – preferita dalla giurisprudenza (tra le altre, Tribunale di Piacenza 22 novembre 2016, numero 527; Tribunale di Cagliari 22 luglio 2016 ; Tribunale di Cagliari 21 luglio 2016 e Giudice di Pace di Pordenone 21 luglio 2016, numero 424) - chiamano in causa, oltre all'articolo 155 di cui si è detto, l'articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, (ratificato dall'Italia con la Legge 2 agosto 2008, n. 130), secondo cui «…l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti». E ancora, la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (conclusa a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata dall'Italia con la legge 4 novembre 2010, n. 201), che fra le altre cose sancisce «…l'importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società».
L’analogia con il distacco dall’impianto centralizzato
In tale contesto, può essere utile citare una recente ordinanza della Corte di Cassazione (11 dicembre 2019, n. 32441) in tema di distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato.
L'articolo 1118, comma 4, del Codice civile – introdotto dalla Legge di Riforma del condominio - prevede che «il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma».
La Corte ha ribadito a più riprese che «sono nulle le clausole dei regolamenti condominiali che vietino il distacco (tra le molte sentenze si leggano quelle della Cassazione 12580/2017 e 11970/2017)», e anche in presenza di un regolamento condominiale che vieta il distacco, preesistente all'entrata in vigore dell'articolo 1118, comma 4, del Codice civile, «la norma sopravvenuta incide, e non potrebbe essere altrimenti, sull'efficacia della clausola contrattuale, che viene meno».