Condominio

Quando gli animali sono usati per fare stalking al vicinato

di Giulio Benedetti

L'art. 1138 c.c. afferma che le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici , tuttavia , se tale norma tutela l'esercizio del diritto di affettività dei rispettivi proprietari, a volte non facilita la convivenza e la tranquillità all'interno del condominio.
Infatti gli animali domestici hanno le loro esigenze etologiche che devono essere coniugate, a cura dei proprietari , con quelle degli altri condòmini, la cui tranquillità deve essere parimenti tutelata. I n particolare i disturbi reiterati , provocati dagli animali nell'ambito condominiale, possono configurare, nei confronti dei proprietari , il reato di stalking (art. 612 bis c.p.) che, sanzionato con la pena della reclusione da sei mesi a cinque anni, è compiuto da chi , con condotte reiterate minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia e di paura , ovvero da ingenerare un fondato timore per l‘incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva , ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La Corte di Cassazione (sent. n. 25097/2019) ha rigettato il ricorso di una proprietaria di gatti, ospitati nel suo appartamento, contro una sentenza di condanna per il reato di atti persecutori commesso nei confronti di una vicina. La ricorrente affermava l'ingiustizia della sentenza della Corte di Appello poiché gli episodi delle deiezioni dei suoi gatti, i quali disturbavano la vicina, sono stati occasionali e comunque dovuti ad incuria nella loro custodia e che quindi non ricorreva il requisito dell'abitualità della condotta ed il dolo richiesto per la sussistenza del reato. Inoltre la stessa affermava che difettava la prova che avesse esposto , all'interno delle parti comuni, scritte e cartelli contenenti minacce ed insulti nei confronti della persona offesa, come pure della presentazione di una rituale querela da parte di quest'ultima.
La Corte di Cassazione, invece, confermava la condanna della ricorrente poiché il giudice di appello aveva accertato non una sua incuria colposa nel governo degli animali, bensì una condotta dolosa poiché, nonostante le ripetute lamentele della vicina, aveva volontariamente continuato a liberare le deiezioni dei suoi gatti all'interno delle parti comuni , abitate anche dalla persona offesa .
Evidentemente la ricorrente era perfettamente cosciente della sua condotta, sotto il profilo di attentato all'igiene, e voleva ledere la persona offesa mediante le predette molestie continuate. Tale condotta integra il reato dell'art. 612 bis c.p. perché deve essere coniugata con gli altri atti di molestie contestati alla ricorrente , soprattutto ai fini della prova dell'elemento soggettivo del reato e della abitualità della condotta, la cui sussistenza è stata accertata dalla Corte di Appello. In particolare la sentenza di condanna ha escluso l'occasionalità dei comportamenti della ricorrente poichè, mediante l'escussione di numerosi testimoni, compresi gli agenti della polizia locale chiamati dalla persona offesa , tutti a conoscenza dei fatti, accertava la presenza di escrementi animali e del persistente olezzo delle loro deiezioni.
La Corte di Appello, constatava la presenza di una rituale querela da parte della persona offesa, ed attribuiva alla ricorrente la redazione dei cartelli e delle scritte, contenenti minacce ed insulti avverso la persona offesa, sulla base del ristretto teatro dei fatti, per cui era escluso che altri soggetti fossero stati autori dei medesimi. Infine il giudice di appello valorizzava, anche sulla base delle dichiarazioni testimoniali, la documentazione medica della persona offesa che attestava uno stato di prostrazione e di ansia cagionato dalle molestie della ricorrente.
Ne consegue che la Corte di Cassazione confermava la sentenza di condanna poiché ravvisava nella condotta della ricorrente la volontà di perseguitare la propria vicina , procurandole un grave stato di ansia, mediante la strumentalizzazione dei propri animali domestici e delle loro naturali esigenze.
Appare chiaro che un accudimento corretto degli animali sotto il profilo igienico e sanitario è doveroso da parte dei loro padroni : l'art. 544 ter c.p. sanziona penalmente il proprietario di un animale che lo sottopone a sevizie, o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche e l'art. 544 bis c.p. sanziona penalmente chiunque per crudeltà o senza necessità cagiona la morte di un animale.

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