Gestione Affitti

Affitti concordati e necessità dell’attestazione: ha vinto il buonsenso (anche grazie ad Appc)

Ma la normativa andava scritta in maniera più semplice e comprensibile

di Mario Fiamigi - segretario generale Appc


Tanto tuonò che non piovve. La prima versione dell'articolo 7 Dl 73/2022 (decreto semplificazioni) conteneva una evidente “svista” (se così vogliamo bonariamente chiamare un pastrocchio giuridico che solo nel nostro paese possiamo tollerare perché abituati da decenni a leggi incomprensibili e contraddittorie) legando l'attestazione all'immobile e non al contratto, dimenticando che la funzione dell'attestazione stessa è di certificare la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo territoriale e alla legge (come chiarito in modo inequivocabile dall'agenzia delle Entrate nell'interpello 105/2018). Era evidente a tutti (fuorché ai tecnici del ministero) che l'attestazione era quindi necessaria per ogni singolo contratto per certificarne la rispondenza al contenuto normativo.

Appc si è immediatamente attivata in tutte le sedi chiedendo «sic et simpliciter» la soppressione dell'articolo 7. Con la legge di conversione, invece di perseguire la strada più lineare, semplice e comprensibile della eliminazione del pateracchio, si è preferito dire che per far valere la stessa attestazione è necessario che i contratti devono avere il “medesimo contenuto”. Ora, poiché è evidente che nessun contratto può avere il «medesimo contenuto»(non possono non variare canone e/o parti e/o durata e/o altre pattuizioni) ne consegue che le attestazioni rimangono necessarie e imprescindibili.Resta il rammarico che, invece di semplificare sopprimendo, si sia preferito, per ovviare ad una evidente svista, complicare modificando in modo surreale il testo della prima versione del decreto. L’incapacità di scrivere le leggi in modo semplice e comprensibile ai cittadini è, forse, la malattia più grave di cui soffre il nostro paese.

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