Affitti: indennità per i lavori di miglioramento dell’immobile solo se c’è il si del locatore agli stessi
Necessario un consenso espresso, non basta che non ne ostacoli lo svolgimento
L'inquilino ha diritto all'indennità per i miglioramenti apportati all'immobile locato solo se abbia eseguito i lavori previo consenso del proprietario che – messo al corrente della loro entità economica e convenienza – abbia dato un benestare espresso, a nulla rilevando che abbia tollerato le innovazioni. Lo sostiene la Corte di appello di Roma con sentenza 4166 del 15 settembre 2020.
La vicenda
È un uomo ad accendere la lite portando in causa la proprietaria del seminterrato preso in locazione, per sei anni più sei, uso ufficio. Ricevuta la disdetta da parte della donna – che l'aveva venduto a terzi – reclamava un indennizzo per i miglioramenti apportati al bene consegnatogli, precisa, in pessimo stato: pavimentazione sconnessa, pareti screpolate, porte fatiscenti, impianti da rifare. Tanto che le parti avevano concordato che la ristrutturazione sarebbe stata eseguita dal conduttore a proprie spese e questi – prima di “muoversi” – le aveva comunicato le opere da effettuarsi, la ditta esecutrice, la data di inizio ed il costo.
Le pronunce di merito
In sostanza, fa presente, i lavori erano stati avviati su autorizzazione della titolare al fine di garantire il pieno godimento del bene. Ecco che, vista la disdetta, gli era parso ovvio chiederle un indennizzo per le migliorie. Pretesa rinnovata, dopo la vendita, ai nuovi titolari che avevano ricevuto il locale (ora sì) in buone condizioni. Vano ogni tentativo, si rivolge al Tribunale che però rigetta la domanda. A suo avviso, non solo mancava il benestare della proprietaria ma persino la prova che il bene, alla conclusione del contratto, fosse inidoneo all'uso pattuito e necessitasse di interventi.
La sentenza d’appello
L'uomo non si arrende e formula appello ma anche la Corte gli dà torto. Dal contratto, spiega, non emergevano circostanze tali da desumere l'inidoneità del bene. D'altronde, se fosse stato inadeguato, l'inquilino non avrebbe firmato il contratto o avrebbe preteso di darne atto magari pretendendo un decorso del canone a ristrutturazione completata. E comunque, l'addotta autorizzazione della locatrice agli interventi sui locali, non ne provava il degrado. A ben vedere, poi, gli obblighi del locatore (articoli 1575 e 1576 del Codice civile) non comprendono l'esecuzione di opere di modifica o di trasformazione della cosa tali da renderla idonea alle esigenze del conduttore salvo che nel contratto si garantisca l'idoneità all'uso specifico pattuito (ipotesi non ravvisabile nella vicenda).
Ebbene, se quei lavori non potevano ritenersi indispensabili per l'idoneità dell'ufficio, neanche potevano porsi a carico della locatrice e, di riflesso, fondare una richiesta d'indennizzo. Sul punto, infatti, la Cassazione insegna che il diritto del conduttore all'indennità per i miglioramenti al bene locato presuppone che le opere siano eseguite su consenso del locatore. E tale consenso – anche sull'entità economica e convenienza degli interventi – non potrà essere implicito né potrà desumersi da mera tolleranza dovendosi concretare in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà di approvarli. La mera consapevolezza, o la mancata opposizione del locatore, quindi, non legittimeranno richieste d'indennizzo (Cassazione 15317/2019). E nella fattispecie, la raccomandata con cui l'inquilino comunicava l'intento di ristrutturare – non seguita da alcuna risposta – non radicava un diritto all'indennizzo. Appello, perciò, bocciato su tutta la linea.