Gestione Affitti

Cedolare stretta tra bonus e rincari

Dopo dieci anni, la tassa sugli affitti inizia a perdere consensi a causa di inflazioni e impossibilità di cedere le agevolazioni sulla casa

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

Dopo un decennio di consensi plebiscitari, arrivano le prime retromarce dalla cedolare secca sugli affitti. Certo il grosso dei 2,6 milioni di locatori che l’hanno scelta non revocherà le proprie opzioni. Ma due forze contrarie cominciano a farsi sentire, secondo quanto riferiscono gli operatori di mercato: l’inflazione (che spinge i contribuenti a lasciare la tassa piatta per poter aggiornare i canoni) e, soprattutto, l’impossibilità di cedere i bonus casa (che li induce ad aumentare l’Irpef per potervi scaricare le detrazioni).

Tra queste due forze, la più rilevante è il blocco del mercato dei crediti d’imposta. Secondo le stime dell’Ance, i bonus casa incagliati valgono 15 miliardi di euro (si veda Il Sole 24 Ore del 2 febbraio). È un problema serio, per il quale da tempo si invocano contromisure. In questo scenario, revocare la cedolare e riportare i canoni sotto l’Irpef è un rimedio artigianale.

Non si tratta, però, di una soluzione per tutti. Innanzitutto, c’è il fattore tempo: la revoca della tassa piatta può avvenire in ogni annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata scelta, entro il termine per il pagamento dell’imposta di registro annuale (ad esempio, entro il 30 aprile se l’anno contrattuale inizia il 1° del mese). Inoltre, c’è un problema di cifre, che spesso non quadrano: l’ammontare medio dei canoni su cui si applica la cedolare è poco sopra i 6mila euro (dichiarazioni 2021); l’investimento medio del superbonus a fine 2022, invece, è di 598mila euro per i condomìni e 113mila euro per le villette (dati Enea). Ciò significa che – tranne casi eccezionali – solo chi ha fatto lavori agevolati dal 110% in condominio potrà costruirsi una capienza fiscale passando dalla cedolare all’Irpef. Ad esempio, ipotizzando un edificio con 17 appartamenti e un investimento pro capite di 35mila euro, la rata del superbonus vale 9.625 euro all’anno. È una cifra che – in base alle statistiche delle Finanze – solo un contribuente su dieci, che dichiara più di 40mila euro, è già in grado di scaricare dall’Irpef. Alcuni degli altri, invece, potranno riuscirci lasciando la cedolare, ma solo se non si allontanano troppo da questo livello reddituale.

Lavori edilizi o no, su tutti i locatori preme comunque l’inflazione (+11,3% la variazione annua dell’indice Istat Foi di dicembre). Generando una spinta ad aumentare i canoni per recuperare potere d’acquisto.

I calcoli di convenienza, tuttavia, evidenziano che – nella maggior parte dei casi – non è ancora arrivato il momento in cui al locatore conviene uscire dalla cedolare e aggiornare il canone (si veda Il Sole 24 Ore del 5 settembre scorso). Di fatto, l’alternativa oggi si pone solo per chi si trova a cavallo del primo scaglione dell’Irpef (redditi fino a 15mila euro) e applica la cedolare del 21% sui canoni liberi, mentre quella del 10% sui canoni concordati è per ora imbattibile.

Prendendo a riferimento redditi e canoni medi dichiarati, un pensionato con un casa affittata a 300 euro mensili potrebbe aumentare il canone di circa 45 euro al mese e rimarrebbe con un maggior introito annuo poco superiore a 200 euro.

La cedolare, insomma, sta calmierando il mercato dei contratti in essere, sia pure al prezzo per l’Erario di aliquote ridotte. Ma non può evitare che i nuovi contratti lunghi (e i contratti brevi) partano fin dall’inizio con importi allineati all’inflazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©