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Comunità energetiche, svolta in arrivo per famiglie e Pmi

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di Sara Deganello

In attesa del decreto del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica – previsto per fine giugno, quando saranno finalizzati i chiarimenti chiesti dalla Commissione europea – che sbloccherà incentivi per costruire fino a 5 GW di capacità per le comunità energetiche rinnovabili in Italia (Cer) fino al 2027, operatori e mercato si preparano a una rivoluzione annunciata. Lo strumento, che permette a un gruppo di privati, cittadini, enti religiosi, del terzo settore o di ricerca, delle piccole e medie imprese delle pubbliche amministrazioni di costituirsi in forma giuridica per produrre e condividere energia elettrica da fonti rinnovabili si è affacciato giuridicamente in Italia già nel 2018 tramite la direttiva europea Red II. Una cornice che ha disciplinato le forme di autoconsumo, nel contesto della promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili: per l’Europa dovrà arrivare a rappresentare almeno il 42,5% del consumo dei vari Paesi entro il 2030. Per raggiungere la neutralità carbonica nel 2050 e realizzare quella transizione verde che il cambiamento climatico rende sempre più urgente.

I benefici della comunità energetica rinnovabile si possono sintetizzare da una parte nella mancata emissione di CO2, con un impatto positivo sull’ambiente, dall’altra, per i cittadini, nel risparmio in bolletta, nella valorizzazione dell’energia prodotta e nell’accesso a bonus e agevolazioni fiscali ad hoc. Il decreto in arrivo, oltre a prevedere un incentivo in tariffa, dovrà regolamentare i 2,2 miliardi di euro del Pnrr per il finanziamento a fondo perduto fino al 40% dei costi di realizzazione di un nuovo impianto o del potenziamento di uno già esistente (con una potenza nominale massima non superiore a un megawatt) nel territorio dei Comuni fino a 5mila abitanti. Nelle stime del ministero dell’Ambiente, questo porterebbe alla nascita di 15mila comunità.

Con i 5 GW di capacità installata incentivata dal decreto in arrivo, in Italia le comunità energetiche potrebbero generare una riduzione di CO2 di 1,35 milioni di tonnellate e un beneficio economico tra i 1,3 e 1,5 miliardi di euro a fronte di un investimento previsto di circa 5-7 miliardi di euro. Sono le stime contenute nello studio “Modelli per promuovere le comunità energetiche: un’opportunità per le utilities” recentemente presentato da Agici, società di ricerca e consulenza specializzata nel settore dell’energia, e Accenture. Il report traccia anche una mappa delle Cer nel nostro Paese: In Italia oggi sono 86, di cui solo 30 attive. La potenza installata è attualmente di 60 MW. Numeri che collocano il nostro Paese in ritardo rispetto al resto d’Europa, che presenta già circa 9mila comunità energetiche, con Germania e Danimarca Paesi pionieri nel settore. «Pensiamo che le comunità energetiche possano essere la chiave di volta per la transizione energetica anche nel tessuto imprenditoriale del nostro territorio, in particolare nelle Pmi», ha spiegato Claudio Arcudi, responsabile dell’industry group Energy e Utility di Accenture in Europa, aggiungendo: «Le Cer consentono di aggregare la domanda e di indirizzare in modo più efficace il consumo, riducendone il peso sulla rete elettrica, e potrebbero essere indirizzate ai distretti industriali e manifatturieri. Un’impostazione ritenuta valida anche dalle utility che devono trasformare la loro offerta sul mercato: un aumento di autoconsumo determina infatti una diminuzione della vendita di energia. Queste aziende possono soddisfare la domanda di transizione con l’installazione e la gestione degli impianti. Anche grazie alle tecnologie digitali». Marco Carta, ad di Agici, ha inoltre osservato: «Le comunità energetiche hanno enormi potenzialità nella transizione verso fonti rinnovabili, portando a bordo cittadini e imprese, facendoli partecipare al sistema energetico, mentre invece i grandi impianti a volte incontrano l’opposizione locale».

L’Electricity Market Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano prevede la nascita di circa 40mila comunità energetiche entro il 2025, con il coinvolgimento di 1,2 milioni di famiglie, 200mila uffici e 10mila piccole medie imprese. Si stima che potrebbero arrivare a produrre fino al 45% dell’elettricità. Con un profondo cambiamento dell’attuale infrastruttura di rete, che mette al centro la figura del produttore-consumatore (prosumer). «Avevamo 15 anni fa 3mila punti di produzione di energia elettrica in Italia, con qualche decina di grandi centrali. Oggi abbiamo più di un milione di impianti installati, solo di fotovoltaico: da quelli su scala industriale al pannello domestico. Dovremmo installare nei prossimi anni 50-60 MW di capacità di rinnovabili. L’anno scorso ne abbiamo fatti 3», ha osservato Alessandro Marangoni, ceo di Althesys, durante un incontro dedicato alle reti digitali al recente Festival dell’Economia di Trento. Nell’occasione Catia Tomasetti, partner dello studio legale BonelliErede, ha elencato alcune criticità nel funzionamento dello strumento delle comunità energetiche: «Lo statuto giuridico ancora da definire, un regolamento che tuteli i soci, il nodo delle risorse economiche per la loro realizzazione, con un format di prestiti bancari già precostituiti come hanno in Germania: si potrebbe sviluppare un dialogo con Abi a questo riguardo. E poi una ulteriore semplificazione, a livello normativo e autorizzativo».

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