Gestione Affitti

Contratti di locazione e clausola arbitrale: i limiti alla devoluzione agli arbitri

Le nuove posibilità incontrano un’altra tipologia di esclusioni: quelle processuali

di Fabrizio Plagenza e Federico Bocchini

Nella maggior parte dei casi, nei contratti di locazione, le parti pattuiscono espressamente che ogni controversia che dovesse insorgere in merito all'applicazione e/o l'interpretazione del contratto stesso, è soggetta alla competenza del Tribunale del luogo ove è situato l'immobile locato. Le parti dunque, salvo espressa volontà contraria, riconoscono nell'Autorità Giudiziaria, l'Ufficio competente a cui rivolgersi in caso di liti insorte, nascenti dal contratto di locazione.

Le regole del Codice civile

Secondo quanto previsto dall’art. 808 del Codice di procedura civile, primo comma, infatti, “Le parti nel contratto che stipulano o in atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione di arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall’art. 807 c.p.c.”. A sua volta, l’art. 806 c.p.c. “Controversie arbitrabili”, dispone che “Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge”.

Posto che con la stipula del contratto di locazione, le parti regolano diritti disponibili, la clausola arbitrale è applicabile nei contratti di cui sopra. Con alcuni limiti, certamente. Oggi sono rimettibili alla decisione degli arbitri questioni che prima non era possibile concedere alla decisione diversa dall'Autorità Giudiziaria. Facciamo riferimento alle controversie aventi ad oggetto la determinazione, la revisione, l’aggiornamento e l’adeguamento del canone oppure quelle controversie aventi ad oggetto l'interpretazione e/o l'esecuzione del contratto di locazione, sia per l'uso abitativo che per l'uso diverso.La questione, tuttavia, incontra un'altra tipologia di limiti : quelli processuali.

Gli sfratti

Si pensi ai procedimenti di convalida di sfratto. Infatti, i procedimenti previsti agli artt. 657 e 658 c.p.c., ossia i procedimenti per intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione (art. 657 c.p.c.) e di intimazione di sfratto per morosità (art. 658 c.p.c.), prevedono che, in forza della previsione dei cui all'art. 661 c.p.c., la competenza sia quella del “Tribunale”. Si legge, infatti, “Quando si intima la licenza o lo sfratto, la citazione a comparire deve farsi inderogabilmente davanti al tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata”. Dunque, nel caso in cui il locatore volesse avvalersi delle procedure sommarie sopra indicate, non potrà che adire l'Autorità Giudiziaria competente, non essendo possibile rimettere la questione innanzi ad un soggetto diverso quale, ad esempio, l'arbitro.

Un ostacolo che il locatore trova tuttavia nella sola fase sommaria e non anche nella eventuale fase di merito, connotata da una cognizione piena.Tra la fase “a cognizione sommaria” e l’apertura del procedimento a cognizione piena mediante il c.d. mutamento del rito, è tuttavia possibile che, nonostante la previsione nel contratto di locazione di una clausola arbitrale, permanga in capo all’Autorità giudiziaria la competenza a decidere sulla richiesta di emissione di alcuni provvedimenti. È il caso dell' ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 del codice di procedura civile oppure della convalida di sfratto.

L'esistenza di una clausola arbitrale, infatti, non priva il giudice ordinario ad emettere i provvedimenti immediati (rilascio ex art. 665 c.p.c o convalida, sussistendone i presupposti) ma lo obbliga, in caso di mutamento del rito, una volta chiusa la fase sommaria, a declinare con sentenza la propria competenza, dichiarando sussistente per il merito quella arbitrale, incombendo poi alle parti di attivarsi per l’effettivo svolgimento del relativo giudizio (Cass. civ., Sez. III, 23 giugno 1995, n. 7127; conforme, Cass. civ., Sez. III, 16 gennaio 1991, n. 387;in motivazione Cass. sent. n. 10127 del 3.2.2017; per il merito Trib. Piacenza sentenza n. 166 del 21.2.2018).

Decreto ingiuntivo

Il medesimo ragionamento vale per l'eventuale decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto, ad esempio, per il mancato pagamento di canoni di locazione e/o oneri condominiali. Infatti, l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti “inaudita altera parte”), ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri (cfr. Cass. 21.12.2018 n. 22433 in motivazione).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©