Cosap, Tosap e condominio. Una questione aperta che giunge (troppo) spesso in giudizio
L’applicazione del canone presuppone il rilascio di un atto di concessione siglato e approvato dal Comune
Con la sentenza 5454/2022 , la Corte d'appello di Roma è tornata sull'imposizione del Cosap. Una questione annosa che sfocia spesso nelle aule giudiziarie.
Cosap e Tosap: le definizioni
Il Cosap è un canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, dovuto all’ente in caso di occupazione di suolo pubblico, sia per occupazioni temporanee che per occupazioni permanenti. La Tosap, invece, è una tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche. Ciò che li differenzia è la diversa natura : la Tosap è un'entrata tributaria mentre il Cosap rappresenta un'entrata di carattere patrimoniale. Ed ancora. La Tosap ha una disciplina legislativa (capo II del Decreto legislativo 507/1993) mentre per il Cosap il Decreto legislativo 446/1997 demanda l'intera disciplina al regolamento comunale, ampliando tra l'altro la potestà normativa dell'ente locale, il quale può stabilire in piena autonomia sia la disciplina che le tariffe. Fatta questa doverosa premessa, con la citata sentenza, la Corte d'Appello di Roma è tornata sulla questione della debenza o meno del canone Cosap.
I fatti di causa
La pubblica amministrazione impugnava una sentenza resa dal Tribunale di Roma, in forza della quale un condominio aveva ottenuto l'accoglimento dell'opposizione proposta avverso un avviso di pagamento notificato dalla pubblica amministrazione per l'asserito omesso/parziale versamento del canone per occupazione di suolo pubblico (Cosap) relativo all'anno 2013, parte del quale per griglie e intercapedini ubicate lungo il perimetro dell'edifico condominiale. Il Tribunale accoglieva l'opposizione, dichiarando non dovute le somme richieste a titolo di canone Cosap. Per il giudice di primo grado, in sintesi :
1) Il canone Cosap non era dovuto;
2) Non risultava essere stata rilasciata alcuna specifica concessione in relazione all'occupazione di suolo pubblico in esame, dovendo essere intesa quale provvedimento amministrativo tipizzato, riferito specificamente al titolare della stessa, che si pone come atto conclusivo di un procedimento iniziato su istanza di parte, con cui la pubblica amministrazione costituisce ex novo situazioni giuridiche soggettive attive in capo al destinatario, ampliandone così la sfera giuridica;
3) Mancava lo stesso presupposto della previsione, da parte del Comune interessato, del diritto a chiedere un corrispettivo per la concessione di una servitù di passaggio;
4) L'ente creditore non aveva poi fornito la prova che la servitù di pubblico passaggio fosse stata costituita nei modi e termini di legge.
Come detto, avverso tale sentenza il Comune proponeva appello ritenendo non corretto il ragionamento del Tribunale.
La norma che regola il Cosap
La fonte normativa del Cosap, ricorda la Corte adita, è individuabile nell'articolo 63 del Decreto legislativo 15 dicembre 1997, numero 446, il quale prevede espressamente che «comuni e province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. Il pagamento del canone può essere anche previsto per l’occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge».
Regole per aree pubbliche e private
In forza di tale previsione, il Comune ha adottato, con deliberazione del Consiglio comunale numero 339/1998 e successive modifiche, il regolamento Cosap il quale, all'articolo 1, prevede un’applicazione delle prescrizioni alle occupazioni di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti, che appartengono al demanio o patrimonio indisponibile del Comune stesso, nonché di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge.Il condominio, peraltro, produceva una precedente sentenza, non impugnata dal Comune e, dunque, passata in giudicato, con la quale veniva accertato che nell'area di sedime del fabbricato erano comprese anche le griglie e le intercapedini per le quali il Comune aveva richiesto il pagamento del canone. Il giudicato, dunque, rendeva inammissibile l'appello.
La decisione della Corte d’appello
Nel merito, peraltro, la Corte d'appello di Roma evidenzia come, nel caso di specie, la realizzazione delle griglie e delle intercapedini sulla strada privata adiacente all'edificio condominiale non poteva ritenersi abusiva in quanto «contemplata in fase progettuale e come tale assentita dalla pubblica amministrazione, non vertendosi in tema di occupazione abusiva e non potendo quindi sostenersi la tesi della concessione presunta». Inoltre, nel caso trattato dalla Corte d'appello di Roma, si trattava «pacificamente, di intercapedini a raso,che non limitano in alcun modo il pubblico transito».
La sentenza in commento evidenzia come sia ormai consolidato il principio giurisprudenziale secondo cui«il giudice ha il potere di disapplicare il regolamento comunale che amplii illegittimamente il presupposto di fatto richiesto dalla norma primaria per l'assoggettamento al canone, ove non ricorrano opere che evidenzino una qualche sottrazione della superficie all'uso pubblico». Inoltre, la stessa pubblica amministrazione aveva, con «proprie circolari emanate degli anni 1999-2000 (vedi circolari 2637 del 21/1/1999 e 9459 del 4/2/2000, allegati 2a e 2b), aderito al contenuto della Risoluzione 258/E emessa dal ministero delle Finanze», avente a oggetto l'indicazione dei presupposti per l'imposizione del canone di concessione di cui si discute, nella quale era stato precisato che, ove l'occupazione fosse stata realizzata in sede di edificazione del fabbricato, la tassazione non sarebbe stata operata per assenza del presupposto impositivo.
L’applicazione del Cosap richiede l’atto di concessione del Comune
Sebbene la Risoluzione del Ministero delle Finanze richiamata nelle due circolari fosse precedente all'approvazione del decreto legislativo 447/1997, il Comune vi ha aderito in ogni caso, «facendone proprio il contenuto», mentre l'imposizione del canone appare conseguente a un'interpretazione opposta, «in spregio, tra l'altro, dei principi di lealtà, di prevedibilità e di certezza delle situazioni giuridiche, che debbono informare l'azione della pubblica amministrazione». Di conseguenza, l’applicazione del Cosap presuppone che, in precedenza, sia stato rilasciato dal Comune un atto di concessione.
Per quanto attiene, specificamente, alle griglie e alle intercapedini il Comune di Roma ha autolimitato la sua azione amministrativa con circolare numero 2637 del 21.1.99, ove ha affermato che la non tassabilità delle griglie, intercapedini e simili, facenti parte del progetto di costruzione, è autorizzata con la licenza edilizia, anche se l’area di sedime delle occupazioni è stata successivamente ceduta in proprietà al Comune oppure su di essa si è costituita una servitù di pubblico passaggio (il principio è stato ribadito con la nota numero 9459 del 4.2.00 del Dipartimento II - Unità operativa tributi).
Un caso esemplare
Già in passato, il Tribunale di Roma, con la sentenza numero 14134/2021, pubblicata il 06 settembre 2021, occupandosi della richiesta del canone Cosap aveva accolto le richieste di un condominio romano che lamentava «l’illegittimità della richiesta di pagamento per mancanza dei requisiti di legge e più specificamente per mancanza del presupposto impositivo atteso che l’occupazione dell’area tassata, non era avvenuta a seguito di specifico atto concessorio, come prevede il decreto legislativo 507/93, bensì in sede di edificazione del fabbricato allorché l’area occupata era ancora privata e non appresa dall’amministrazione comunale, con conseguente difetto dell’eccepito presupposto impositivo».
Anche in quell'occasione, il Tribunale capitolino ricordava che la richiesta di pagamento del Cosap pone le basi «sull’articolo 63 decreto legislativo numero 446/97 e sugli articoli 21 e 24 della deliberazione comunale numero 27/2000» e che il Comune si era a ciò conformato con la previsione dell’articolo 1 della deliberazione numero 27/2002, quindi del rilascio dell’atto concessorio per ogni forma di occupazione degli spazi comunali.