Condominio

Focus del venerdì: l’assemblea condominiale si colloca al di fuori del conflitto di interessi

Salvo prova contraria, ciascuna delibera emanata dal consesso deve avere come fine ultimo il bene comune

di Rosario Dolce

Le decisioni prese dall’assemblea dei condòmini, in quanto organo collegiale necessario del condominio, vengono assunte sulla scorta del principio di maggioranza, in ragione di un doppio coesistente quorum, quello personale e quello reale, o meglio quello di espressione millesimale (vedi articolo 1136 Codice civile). In un quadro determinativo così complesso, sembrerebbe non esservi spazio per limitare o contenere alcune deliberazioni ricorrendo alla nozione del “conflitto di interesse”, laddove riconducibile a taluno degli aventi diritto.

La Corte di Cassazione (da ultimo, con ordinanza 5642/2023), riflettendo sull’ipotesi del caso di conflitto di interessi tra il condominio e alcuni partecipanti ai fini del calcolo delle maggioranze costituenti il quorum costitutivo e deliberativo - ove debbano essere calcolate con riferimento a tutti i condòmini e al valore dell’intero edificio - prova a offrire una soluzione definitiva al quesito e argomenta una conclusione addotta sul tema in modo convincente.

Quando sorge il conflitto di interessi

Il “conflitto di interessi” si determina ogniqualvolta, nell’ambito di un contesto collegiale, qualcuno dei soggetti legittimati a prendere parte alla discussione per una data decisione abbia una duplice posizione. Dunque, per il sorgere del conflitto tra il condominio e il singolo condòmino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condòmino e uno come estraneo al condominio e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell’uno comporti il sacrificio dell’altro. Per questo motivo, il legislatore della riforma, in via presuntiva, ha stabilito che «all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea», in seno all’articolo 67 delle Disposizioni di attuazione al Codice civile (va detto, per inciso, che il caso trattato dal provvedimento in commento è anteriforma).

Ciò posto, i giudici di legittimità confermano che nella fattispecie condominiale – in assenza di personalità giuridica - non si possano applicare, neppure in via analogica, le disposizioni previste dal diritto societario. Si tratta di quel compendio di norme le quali, oltre l’ipotesi disciplinata dall’articolo 2373 del Codice civile, prevedono altri casi nei quali il socio non può esercitare il diritto di voto (articolo 2344, comma 4, Codice civile) oppure situazioni per le quali le “azioni” per cui il diritto di voto è sospeso sono computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e le deliberazioni dell’assemblea (articolo 2357 ter, comma 2, Codice civile). La peculiarità condominiale è però tale da rendere il regime normativo in disamina e non comparabile né compatibile con il proprio status giuridico.

In condominio fine gestorio autonomo inesistente

In effetti e ben al di là della disposizione di nuovo conio dettata nei confronti del mandatario dei condòmini (l’amministratore, per l’appunto, delegato da un condòmino), la Cassazione ha precisato che non sussistono ipotesi positivizzate nelle quali, ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i partecipanti e di tutte le quote e nelle quali le maggioranze possano modificarsi in meno. Nel condominio degli edifici non esiste un fine gestorio autonomo: l’amministrazione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni non mira a conseguire uno scopo proprio del gruppo e diverso da quello dei singoli partecipanti. La gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni è, anzi, strumentale a utilizzo e godimento individuali e, principalmente, al godimento individuale dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria.

Delibere a tutela dell’interesse comune

Alla luce dei superiori insegnamenti giurisprudenziali, possiamo affermare che ogni condòmino, in sede assembleare, con il proprio “interesse” contribuisce sempre e comunque al bene comune e ciò, quindi, va ritenuto concettualmente un assunto che va ben oltre ogni pregiudizio di sorta . Al bando, dunque, i “conflitti” dall’assemblea dei condòmini: ciascuna delibera da essa emanata è a prova di “interesse comune”, salvo prova contraria.

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