Gli accertamenti di fatto sulla servitù di scolo non vanno in Cassazione
L'articolo 913 del Codice civile, in tema di scolo delle acque, ponendo a carico del proprietario sia del fondo inferiore che superiore l'obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, non vieta tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma solo quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell'uno o dell'altro fondo.
Si tratta, però, di un accertamento di fatto che – se non pecca di motivazione sotto il profilo logico e giuridico – esce dall'ambito di “competenza” dei giudici di legittimità. A ricordarlo è la Corte di cassazione con ordinanza n. 30239 del 20 novembre 2019 (relatore Sabato).
Servitù inesistente
Apre la controversia la sentenza con cui il tribunale di Velletri aveva rigettato la domanda proposta da un uomo intento a far accertare l'inesistenza di servitù di scolo delle acque piovane e irrigue che a partire dal fondo dei convenuti si riversavano all'interno del suo fondo. Una decisione prontamente appellata: la fattispecie, precisa l'impugnazione, andava risolta in base all'articolo 949 e non in base all'articolo 913 del Codice civile.
Ma la controparte si difende e ripropone l'eccezione di usucapione già sollevata in primo grado. Appello respinto: non era stato provato che i mutamenti del terreno verificatisi nei pressi del fondo di proprietà dell'appellante avessero reso più gravoso lo scolo naturale delle acque rispetto allo stato originario dei luoghi.
E ciò, dal momento che il giardino di proprietà degli appellati è pressoché pianeggiante quindi portato ad assorbire l'acqua. Comunque, afferma la Corte, era decorso il tempo utile per l'usucapione della eventuale servitù.
Opera artificiale
Il caso, così, arriva in Cassazione. Il collegio del gravame, lamenta il ricorrente, non aveva considerato che il dislivello venutosi a creare tra i due fondi fosse stato determinato da un'opera artificiale per cui non poteva essere applicato l'articolo 913 del Codice civile, che obbliga il proprietario del fondo inferiore – limitandone in modo legale il diritto – a subire lo scolo delle acque.
Motivo inammissibile perché collegato, se pure indirettamente, ad un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, incensurabile come vizio di legittimità, e non ad una ammessa errata interpretazione della norma.
Tanto è vero che il ricorrente, afferma la Cassazione, non contesta l'ambito applicativo dell'articolo 913 del Codice civile, che prevede una situazione giuridica passiva di soggezione da parte del proprietario del fondo inferiore nel ricevere le acque di scolo provenienti dal fondo superiore (da qualificarsi sul piano giuridico come limitazione legale del diritto di proprietà) ma contesta i fatti negando che fossero stati i mutamenti del terreno a provocare la maggiore gravosità della servitù.
Peraltro, la sentenza di appello era perfettamente in linea con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'articolo 913 del Codice civile, ponendo a carico del proprietario sia del fondo inferiore che superiore l'obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, non vieta tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma solo quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell'uno o dell'altro fondo (Cassazione n. 13301/2002).
Accertamento di fatto, è noto, esulante dall'alveo di intervento e di giudizio della Corte di legittimità che, assorbite le doglianze sull'usucapione, rigetta il ricorso.