Condominio

I mercoledì della privacy: impugnare sentenze di primo grado aventi ad oggetto il trattamento dei dati personali

L’azione per revocazione punta a ottenere una nuova valutazione della controversia da parte del giudice che ha formulato il verdetto contestato

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di Carlo Pikler - Centro studi privacy and legal advice

Quale strumento giuridico adoperare per impugnare una sentenza di primo grado non è, spesso, una scelta semplice. Ne è un esempio quanto stabilito dalla Cassazione nell’ordinanza 27223/2022.

La vicenda

La circostanza in fatto ci racconta della signora M.A.M. che installava una telecamera a “difesa” della propria autovettura. Citata in giudizio per lesione del diritto alla riservatezza, ha negato qualsiasi invasione della vita privata del vicino: la telecamera non era in grado di riprendere lo spazio visivo indicato nel ricorso ed era stata installata al solo fine di impedire i ripetuti danneggiamenti alla propria automobile parcheggiata di fronte all’abitazione. Per giunta, la donna dimostrava che l’impianto di videosorveglianza era collegato con la polizia e predisposto in modo tale che la registrazione delle riprese venisse cancellata automaticamente dopo 24 ore, se l’autorità di pubblica sicurezza non ne avesse ritenuto l’utilità ai fini delle indagini. Non solo: l’installazione aveva consentito di individuare e denunciare il responsabile dei danni e delle minacce subìti in precedenza.

Il ricorso in Cassazione

All’esito, il giudice dichiarava infondata l’azione del vicino, ritenendo meritevole di tutela l’interesse legittimo alla videoregistrazione delle immagini. L’attore soccombente ricorreva, quindi, in Cassazione affermando che il giudice del merito avrebbe dovuto ordinare la rimozione dei dispositivi perché in evidente contrasto con il Gdpr e con il Codice della privacy (Dlgs 196/2003). Motivava la sua richiesta col fatto che l’autore dell’illecito era ormai stato raggiunto, venendo meno con ciò qualsiasi utilità e necessità della videosorveglianza. E riteneva testualmente che «non è plausibile che si tenga fermo per anni un veicolo» davanti alla propria abitazione, costituendo l’oggetto pretestuoso di un impianto intrusivo nella sfera privata di vicini e passanti.

Le immagini, poi, a detta del ricorrente, riprendevano sia la strada pubblica sia la porta d’ingresso della sua abitazione. Quindi, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, sarebbe stato necessario il consenso dell’interessato, invece mai richiesto. Non solo: lamentava anche la sproporzione tra il diritto alla propria riservatezza e la finalità di impedire piccoli graffi a un’autovettura vecchia e inutilizzata. E ponendosi la questione nel Regolamento europeo 16/670, integrava nella domanda di illegittimità dell’installazione anche l’assenza di cartellonistica utile a segnalare la presenza dell’impianto, in modo che chiunque si avvicini entrando nel campo della ripresa possa rendersene conto. Azione impossibile con una segnalazione rintracciabile solo su un lato del fabbricato.

L’impugnazione per revocazione

La Corte, pur evidenziando che il ricorso è stato ritualmente proposto avverso la decisione resa in unico grado dal Tribunale in materia di tutela della protezione dei dati personali (articolo 10 del Dlgs 150/2011), lo ha rigettato e ha condannato il ricorrente al doppio delle spese di lite. Secondo gli ermellini, infatti, l’interesse all’installazione dell’impianto è comprovato proprio dalla circostanza documentata che grazie alla telecamera si è potuto identificare il responsabile di una condotta criminosa ai danni della signora. Ciò tanto basta per considerare l’esistenza dell’attualità e della necessità di mantenerlo attivo.

Diverso, invece, il discorso relativo ai motivi della domanda che portano a una valutazione di merito, laddove si contesta il profilo dell’idoneità della segnalazione al pubblico della videosorveglianza e i tempi di registrazione. Seppur il ricorrente si sia sforzato per renderla ammissibile in sede di gravame in Cassazione evidenziando che, a suo dire, si sarebbe trattato di una «errata percezione delle risultanze istruttorie da parte del tribunale», avrebbe dovuto incardinare un’impugnazione per revocazione. Che, ai sensi dell’articolo 395 del Codice di procedura civile, mira a ottenere una nuova valutazione della controversia da parte dello stesso giudice che ha adottato la sentenza impugnata (articolo 398, Codice di procedura civile), in presenza di circostanze non valutate o non correttamente valutate al momento della decisione.

Lo sbarramento sull’ammissibilità delle domande da parte della Suprema corte, dunque, è intervenuto in maniera decisa anche dove la contestazione va ad interessare la materia del trattamento dei dati personali, evidenziando il solco che distingue un’errata applicazione della norma (che, se configurabile come errore di diritto, può essere motivo di ricorso per Cassazione) da valutazioni riguardanti il merito, escluso dal potere di giudicato della Corte, stante l’esistenza di strumenti alternativi di impugnazione, come l’azione per revocazione.

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