Il condomino non può appropriarsi di un bene comune
Ciò può essere legittimo soltanto in presenza di assenso negoziale manifestato da tutti i condòmini
L'appropriazione del bene comune è uno dei temi di conflitto più ricorrenti in àmbito condominiale. È noto che l’uso della cosa comune da parte di un condomino non può spingersi fino alla sottrazione in danno della compagine comproprietaria. L'incorporazione del bene collettivo nella sfera dominicale esclusiva di un condomino concretizza una lesione del diritto di comproprietà e legittima i singoli condòmini (o l'ente condominiale) alla azione ripristinatoria.
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito che nel caso in cui la cosa comune venga sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo nei termini originariamente praticati, si rientra nella appropriazione di parte del bene comune. Ciò può essere legittimo soltanto in presenza di assenso negoziale manifestato da tutti i condòmini. Trattandosi di beni immobili, il consenso deve essere espresso in forma scritta. Perciò il condomino non può attrarre le parti comuni nella sfera del proprio immobile (Cassazione 18929/2019 e 14694/2015).
La vicenda
Nel caso trattato dal Tribunale di Salerno, definito con sentenza numero 1128 pubblicata il 1° aprile 2022, l’appropriazione si era concretizzata mediante inglobamento di alcuni beni condominiali nelle proprietà esclusive di vari condòmini determinando la definitiva sottrazione degli stessi al godimento collettivo. Dieci condòmini convenivano in giudizio ventinove condòmini dinnanzi al tribunale salernitano per ottenere declaratoria di occupazione abusiva delle aree scoperte condominiali illegittimamente detenute con condanna alla rimozione delle inferriate e cancelli.
Esponevano che i convenuti si erano appropriati di talune aree esterne all'edificio recintandole ed impedendo l'accesso agli altri condòmini. Soggiungevano che in alcune unità immobiliari vi erano allocati i contatori idrici e termici: l'accesso risultava interdetto poiché talune aree scoperte erano state recintate con cancelli ed inferriate metalliche, talaltre delimitate con fioriere. Concludevano chiedendo venisse accertata l'occupazione abusiva e la conseguente condominialità delle predette aree. Chiedevano perciò la condanna alla liberazione delle aree e al ripristino dello stato preesistente (rimozione delle inferriate e cancelli illegittimamente installati) oltre al risarcimento del danno per i disagi sofferti in ordine al mancato utilizzo dei cespiti comuni. I convenuti si costituivano eccependo in particolare l'intervenuta usucapione delle aree occupate.
Le ragioni decisorie
Il decidente salernitano ha premesso che nei beni annoverati dall’articolo 1117 Codice civile rientrano le parti inerenti alla struttura dell’edificio e in genere «tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune». Ha osservato che in tale catalogazione confluiscono tutti i «beni comuni necessari» per l’esistenza del plesso edilizio o permanentemente destinati all’uso comune fra cui le aree destinate a parcheggio, salvo titolo contrario. Il titolo che esclude la natura condominiale può rinvenirsi in un regolamento di formazione contrattuale, nei rogiti delle unità immobiliari e per effetto dell’ usucapione. Il condomino che vanta la proprietà esclusiva di un bene comune ha l'onere di provare il diritto scaturente dal titolo contrario.
Dalla verifica del carteggio è emerso che l'area esterna allo stabile, occupata dai proprietari degli immobili situati al pianterreno, non può ritenersi in uso esclusivo ai medesimi in quanto non è stata espressamente esclusa negli atti di acquisto dal novero dei beni comuni. Tra l'altro, la natura condominiale dello spazio esterno risulta essere stata a più riprese ribadita nelle varie assemblee condominiali. Le dichiarazioni testimoniali, poi, hanno chiarito che l'occupazione e il godimento esclusivo dell'area esterna, da parte dei condòmini proprietari degli immobili al pianterreno, è avvenuta mediante l'illegittima delimitazione degli spazi comuni e l'apposizione di ingombranti fioriere, cancelletti ed inferriate.
No all’acquisto per usucapione
In ordine alla riconvenzionale tesa a conseguire la declaratoria di intervenuta usucapione delle aree condominiali, il giudicante ha ritenuto insussistenti gli elementi qualificanti l'invocata usucapione. Non è possibile considerare il diritto di godimento esercitato su beni comuni (inteso come espressione di signoria assimilabile a quella proprietaria) in quanto consta dai verbali d'assemblea che le spese manutentive afferenti alle aree in questione venivano ripartite in ragione millesimale e imputate al condominio.
Negli anni si sono succeduti vari tentativi per rientrare nella disponibilità del bene: dalla occupazione illecita delle aree condominiali denunciata alla procura della Repubblica ad iniziativa di un condomino ai numerosi accertamenti eseguiti dalla polizia municipale.In relazione, infine, ai danni richiesti dagli attori per la protratta privazione dell'utilizzo delle aree condominiali (impossessate dai proprietari degli immobili terranei), la curia salernitana ha ritenuto che il danno da occupazione abusiva non può coincidere con il semplice evento della occupazione.
Conclusioni
È onere del danneggiato provare l'effettiva entità del danno, ossia la concreta lesione derivante dal mancato utilizzo. Nel caso di specie, però, è risultato indimostrato.In conclusione, il tribunale ha accertato la natura condominiale delle aree esterne all'edificio detenute illegittimamente dai condòmini del piano terreno. Pertanto, ha accolto la domanda attorea, rigettato la riconvenzionale e condannato i condòmini convenuti al ripristino delle aree comuni esterne previa rimozione dei manufatti posti a delimitazione.