Il danno all’immagine e alla reputazione dell’amministratore di condominio va sempre provato
Non può essere liquidato per il solo fatto che sia stata accertata la lesione, occorre dimostrare le conseguenze dell’illecito subìto
L’amministratore di condominio leso da un condòmino nell’immagine e reputazione, per ottenere il risarcimento deve provare concretamente il pregiudizio sofferto in quanto il danno non sussiste in re ipsa. È l’importante chiarimento reso dal Tribunale di Monza con la sentenza 231/2022 .
La vicenda
Recentemente il Tribunale di Monza ha esaminato la domanda risarcitoria promossa dall’amministratore del condominio contro un condòmino riguardo a fatti che lo avevano leso nell’immagine, reputazione, onore, decoro e personalità. Perciò, domandava la condanna al risarcimento di tutti i danni subìti ai sensi degli articoli 2 della Costituzione, 2043 e 2059 del Codice civile. Premetteva di svolgere la professione di amministratore gestendo molteplici complessi edilizi e deduceva che un suo amministrato da tempo aveva assunto comportamenti ostili, persecutori e ingiuriosi nei suoi riguardi sfociati in offese scagliate nel corso di una assemblea. Soggiungeva che il soggetto aveva anche posto in discussione l’operato gestionale tramite censure diffamatorie contenute in una lettera recapitata a tutti gli inquilini dello stabile. Dopo aver illustrato la commissione dei reati di calunnia e diffamazione aggravata da parte del condòmino, l’amministratore ha lamentato il danno all’immagine, la lesione alla reputazione e la compromissione dell’onore e del decoro. Il giudice, ritenendo superflua ogni attività istruttoria (anche perché non richiesta dal legale della parte offesa), ha trattenuto la causa in decisione.
Per il risarcimento occorre valutare le conseguenze della condotta illecita
La linea difensiva attorea ha sostenuto che l’accertamento della condotta illecita determina l’attribuzione di una somma risarcitoria per cui si ipotizzerebbe un danno in re ipsa . Esso sorgerebbe al verificarsi dei suoi presupposti e non necessiterebbe di alcun dimostrativo. Perciò, non ha indicato elementi volti a comprovare il pregiudizio all’immagine, al decoro e alla reputazione. Il giudice, tuttavia, ha sposato l’indirizzo interpretativo reso dalla Suprema Corte (Cassazione, 4005/2020, 8861/2021 e 7594/2018) secondo cui in tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all’immagine e alla reputazione, il danno risarcibile non va individuato nella lesione del diritto, ma nelle conseguenze di questa lesione. Sicché la sussistenza del danno non patrimoniale deve necessariamente essere oggetto di allegazione e prova e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice non sulla base di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio patito e provato dalla vittima. Su questi asserti giurisprudenziali ha ritenuto la domanda risarcitoria immeritevole di accoglimento. Ha basato il rigetto sull’assenza di elementi finalizzati ad attestare i danni realmente procurati all’immagine, reputazione, onore e decoro.
La lesione di un diritto non corrisponde al danno
La lesione di un interesse protetto dalle legge è il presupposto del danno. Tuttavia, giova rimarcarlo, non è essa il danno. In realtà, il danno non consiste nella lesione di un diritto, ma nelle conseguenze pregiudizievoli scaturite. Una lesione di diritto da cui non derivi alcun decremento patrimoniale o sofferenza morale, non fa sorgere diritti al risarcimento proprio perché è manchevole la perdita da rifondere. Ciò è desumibile dall’articolo 1223 del Codice civile e attestato finanche da una tradizione giuridica millenaria. È noto che già l’imperatore Giustiniano, nell’epistola al prefetto del pretorio Giovanni - Codex Iustiniani, VII, XLVII, De sententiis - qualificò il danno risarcibile come l’id quod interest, ovvero l’utilità perduta (giammai il diritto leso).
Va rammentato che gli ermellini da un ventennio hanno statuito che non esistono nell’ordinamento danni-evento. La lesione del diritto è solo il presupposto del diritto al risarcimento del danno. Non esistono danni in re ipsa. L’accertata esistenza della condotta illecita e della lesione del diritto non fa sorgere il diritto al risarcimento del danno qualora il danneggiato ometta di dimostrare l’effettiva perdita subìta. Questi enunciati, peraltro, sono stati precorsi dalla Consulta (372/1994) la quale, riguardo al danno non patrimoniale, ha asserito che la prova della lesione di un diritto «non è sufficiente ai fini del risarcimento. È sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’articolo 1223 del Codice civile». Le sezioni semplici (tra le altre, Cassazione, 8828/2003 e 8827/2003) hanno affermato che «non vale l’assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse».
In seguito, questo principio è stato definitivamente blindato dalle Sezioni Unite (26972/2008) e confermato da una pletora di statuizioni conformi (13071/2018 e 11269/2018, secondo cui «la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato» (Cassazione, 7594/2018 con riguardo al danno all’onore e reputazione, 2056/2018, 907/2018 e 25420/2017).
Priorità al pregiudizio patito e provato dalla vittima
Ne discende che il danno non patrimoniale derivato da una lesione dell’onore e della reputazione, tra cui si colloca quello subìto dall’amministratore di condominio, non è mai in re ipsa per cui non può essere liquidato per il solo fatto che sia stata accertata la lesione. Nella liquidazione del danno non patrimoniale da lesione dell’onore e della reputazione il giudice deve tenere conto non di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio patito e dimostrato dalla vittima.
In conclusione, non va ritenuto sussistente un danno non patrimoniale in re ipsa senza concretamente accertare l’effettivo pregiudizio patito. Vanno descritte e comprovate le conseguenze tangibili derivate dall’illecito ascritto - come nel caso analizzato - al condòmino. Perciò è erroneo sostenere che la mera lesione di un diritto della persona fa sorgere ipso iure il diritto al risarcimento del danno in capo al titolare del diritto leso.