Condominio

Il diritto condominiale preso sul serio: rimedi contro i parcheggi abusivi nelle aree private e condominiali

In alcuni casi si configura il reato di violenza privata

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di Ettore Ditta

Gli autoveicoli e i motoveicoli vengono utilizzati abitualmente dalla gran parte delle persone per i loro spostamenti e così si presenta spesso, sia sulla strada pubblica che sulle aree private, il problema dei veicoli posteggiati in maniera irregolare oppure che ostacolano o bloccano altri veicoli e i loro occupanti. Se queste situazioni si verificano su vie pubbliche, la competenza ad intervenire spetta alla Polizia locale che si fa sgomberare i mezzi che ostacolano il transito (oltre ad infliggere la sanzionare prevista). Diversa è invece la situazione nei casi in cui il mezzo viene parcheggiato in un’area di proprietà privata o anche condominiale. Bisogna tenere distinte le situazioni, anche perché i rimedi disponibili possono essere di tipo sia penale che civile.

Le diverse tipologie

Se l’occupazione abusiva riguarda un’area di proprietà esclusiva, il proprietario che si vede impedito l’utilizzo ha la facoltà di chiedere l’intervento della polizia di sicurezza o dei carabinieri per denunciare il reato e inoltre può fare rimuovere il mezzo parcheggiato in modo abusivo mediante un carro attrezzi, chiedendo dopo il risarcimento del danno. Quest’ultimo però di norma resta limitato al costo della rimozione del mezzo ed eventualmente si possono aggiungere solo voci ulteriori collegate ad un ritardo nello svolgimento di attività lavorative, mentre la richiesta di ottenere uno specifico risarcimento per la semplice occupazione dell’area di proprietà privata di norma, seppure legittima sul piano teorico, in concreto assume uno scarso significato a causa del modesto valore economico che di fatto può essere riconosciuto per una occupazione del parcheggio altrui che dura poco tempo. Al contrario, se il mezzo viene lasciato parcheggiato per un periodo di tempo prolungato, il risarcimento dovuto per l’occupazione dell’area altrui può assumere anche una consistenza discreta, che aumenta tanto quanto si protrae nel tempo.

Il proprietario dell’area, di fronte all’occupazione abusiva altrui, dovrebbe però comunque avere l’avvertenza, prima di reclamare il risarcimento del danno, di cercare preliminarmente di contattare il proprietario del mezzo e di diffidarlo dal proseguire l’occupazione, che potrebbe anche essere stata determinata da un errore scusabile (soprattutto quando l’area di parcheggio è delimitata soltanto dalle linee segnaletiche orizzontali senza apposizione di paletti con catenelle o di sbarre o ancora di cartelli che segnalano la proprietà privata). Il parcheggio abusivo causato da un errore scusabile comporta infatti l’esclusione della responsabilità penale, anche se rimane comunque il diritto del proprietario di riottenere la disponibilità dell’area e di chiedere il risarcimento del danno per l’occupazione abusiva, purché sia in grado di dimostrarne l’entità economica.

Il parcheggio abusivo in area condominiale

Se invece l’occupazione abusiva riguarda un’area condominiale, alla legittimazione ad intervenire di cui dispone qualunque condomino per tutelare le parti comuni si aggiunge quella dell’amministratore (qualora sia stato nominato, ovviamente), al quale di solito i condòmini interessati lasciano volentieri il compito di occuparsi della questione. E non assume alcuna rilevanza il fatto che dell’occupazione di un posto auto condominiale (qualora naturalmente si verifichi in violazione delle regole concordate sull’utilizzo del posto auto) o di una area comune, sia responsabile un estraneo oppure un condomino, perché – salvo l’esistenza di una differente specifica regolamentazione concordata dai condòmini legittimati, istituendo per esempio un uso “turnario” – i condòmini di norma non devono parcheggiare nelle aree condominiali neppure se si tratta di aree antistanti i loro posti auto scoperti o i loro box di proprietà privata. A maggior ragione, lo stesso vale se i mezzi parcheggiati impediscono o rendono più difficile il transito e le manovre dei veicoli che entrano o escono in altre aree private.

Il diritto di usare il bene comune, come sempre avviene, spetta a ciascun condomino col limite fondamentale che il loro utilizzo non impedisca o renda più difficile l’esercizio del medesimo diritto da parte di tutti gli altri condòmini, nessuno escluso.Per questo motivo la sosta – beninteso solo occasionale e non continuativa - di un veicolo nelle aree comuni si deve considerare tollerabile, purché venga esercitata dall’interessato senza impedire il concorrente esercizio del diritto di usare lo spazio comune da parte dagli altri condòmini; la disponibilità verso le esigenze altrui, che dovrebbe sempre caratterizzare ogni aspetto dei rapporti condominiali, non deve diventare l’occasione per consentire ai condòmini di approfittare della situazione.

Le pronunce di legittimità

In questa prospettiva la Cassazione penale sentenza 1° marzo 2019 con riferimento ad una ipotesi di delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (articolo 392 del Codice penale) ha ricordato il principio già enunciato, in più occasioni dalla Cassazione civile, da ultimo con la ordinanza 18 marzo 2019, numero 7618 secondo cui l'articolo 1102 del Codice civile, sull'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante alla comunione, non pone alcun margine minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, sicché può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti di una porzione del cortile comune, ove comunque impedisca agli altri condòmini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà (e prima anche da Cassazione sentenza 7 luglio 1978, numero 3400).

Lo stesso principio è stato affermato anche da Cassazione sentenza 13 dicembre 2013, numero 27940, relativa al caso in cui un condomino aveva chiesto al tribunale di fare dichiarare illegittimo e quindi di vietare il parcheggio di autovetture nell'androne o cortile da parte di altri due condòmini che affermavano la natura condominiale del cortile e la legittimità del loro uso, che, in considerazione dell'ampiezza dell'area in questione, non impediva il concorrente godimento degli altri condòmini e in particolare l’accesso alle autorimesse di proprietà privata.In proposito la Suprema corte ha rilevato come i giudici di merito, sulla base di una incensurabile valutazione in concreto delle caratteristiche dimensionali e funzionali del cortile, erano pervenuti alla motivata conclusione dell'inidoneità obiettiva del cortile a consentire l'esercizio della facoltà di parcheggio.

Ciò tenuto conto delle specifiche caratteristiche dell'area in questione, in considerazione delle quali era stato ritenuto che lo stesso non si prestasse al parcheggio di autovetture, ma soltanto al passaggio delle persone ed al transito dei veicoli diretti nelle rimesse, dotate di accesso dal medesimo, facoltà il cui esercizio sarebbe stato ostacolato o reso incomodo dalla presenza di veicoli in sosta, in violazione dell'articolo 1102, comma 1, del Codice civile.

In merito al risarcimento dei danni è stato deciso – con riferimento al caso di una autovettura lasciata in sosta per oltre un anno davanti alla rampa di accesso ad un garage condominiale – che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso della cosa comune da parte di uno dei condòmini avvenga in modo da impedire quello, anche solo potenziale, degli altri partecipanti, il danno patrimoniale per il lucro interrotto è da ritenersi implicito nel fatto, ma non vale lo stesso per il danno non patrimoniale, quale disagio psico-fisico conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, dato che si può ammettere il suo ristoro solo per effetto della lesione di interessi della persona di rango costituzionale o nei casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’articolo 2059 del Codice civile sul danno morale, e sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile (Cassazione ordinanza 4 luglio 2018, n. 17460).

Quando si può configurare il reato di violenza privata

Con riguardo agli aspetti penali va ricordato che, in relazione alla condotta di chi parcheggi la propria vettura in modo da impedire lo spostamento di un’altra vettura, la disposizione che ha trovato maggiore applicazione è quella sulla violenza privata prevista dall’articolo 610 del Codice penale (da ultima Cassazione penale sentenza 33134/2022). È stata infatti dichiarata la sussistenza del delitto di violenza privata (Cassazione penale, sentenza 16 maggio 2006, numero 16571) riferita al caso in cui un estraneo al condominio si introduce con la propria vettura in una area condominiale altrui, parcheggia il mezzo in modo tale da impedire l'uscita sulla pubblica via all'auto di un condomino e dopo si rifiuta di spostarsi pur essendone stato richiesto, pretendendo che il condomino bloccato attenda l'arrivo di una persona.

La Suprema corte ha chiarito che nel reato di violenza privata il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione la parte offesa, la quale si trova così costretta a fare, tollerare od omettere qualcosa contro la propria volontà. Nello stesso modo è stato deciso che integra il reato di violenza privata la condotta di chi, dopo avere parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominiale, si rifiuta poi di rimuoverla nonostante ne sia richiesta dalla persona offesa (Cassazione penale sentenza 12 marzo 2013, numero 28487).

E nello stesso senso si può ricordare anche Cassazione penale 28 febbraio 2011, numero 7592, la quale ha deciso che integra gli estremi del reato di violenza privata la condotta tenuta dal soggetto il quale parcheggia il proprio veicolo all'interno del cortile condominiale impedendo il transito delle altre autovetture e dopo, senza fornire alcuna valida giustificazione, si rifiuta di spostare il mezzo nonostante le ripetute sollecitazioni degli altri condòmini.Un limite all’applicazione dell’articolo 610 è stato invece affermato da Cassazione penale sentenza 17 gennaio 2018, numero 1912, relativo al caso in cui il transito dell’auto della parte lesa non viene totalmente impedito, ma reso soltanto più difficile a causa dell’angustia dello spazio disponibile. In proposito la Suprema corte ha deciso che la semplice difficoltà, da parte della parte offesa, ad eseguire la manovra, pure se causata da una condotta volontaria e di certo censurabile da parte del ricorrente, non costituisce violenza privata a meno che non abbia determinato un impedimento assoluto alla libertà di movimento.

La privazione della libertà di azione

Un’ultima ipotesi è stata infine esaminata da Cassazione penale sentenza 30 novembre 2017, numero 53978, relativa al caso in cui un automobilista parcheggia il suo veicolo talmente vicino ad un altro già parcheggiato in mezzo a ulteriori auto poste davanti e dietro, che il conducente del veicolo bloccato non è in grado di uscire dallo sportello del lato sinistro, ma si trova costretto a farlo dal lato del passeggero, a destra. In proposito la Suprema corte ha rilevato che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione.

Di conseguenza il reato si verifica quando l’autore, posizionandosi con la propria autovettura a pochi centimetri dello sportello dal lato dell’autista dell’autovettura della persona offesa – che così, per la contestuale presenza di autovetture parcheggiate avanti e dietro, non può spostarsi in alcun modo - la costringe a scendere dal proprio mezzo per ottenere lo spostamento del mezzo; e che non ha rilevanza il fatto che il conducente del veicolo bloccato sia comunque in grado di scendere dal lato passeggero dell’autovettura, perché con tale condotta viene comunque condizionata in modo sensibile la libertà di autodeterminazione e di movimento della persona offesa.

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