Il giudice deve motivare la tenuità del fatto per l’occupazione abusiva degli appartamenti
Valutando la modalità della condotta e del danno prodotto alla persona offesa e il grado di consapevolezza dell'imputato
La cronaca riferisce di persone che, in qualità di assegnatari di alloggi di edilizia pubblica, escono di casa e quando tornano li trovano occupati abusivamente da altri soggetti. Il reato di occupazione di edifici pubblici, previsto dagli articoli 633, 639 bis Codice penale, è procedibile di ufficio ed è sanzionato con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032. La pena si applica congiuntamente se il reato è stato commesso da più di cinque persone, di cui una palesemente armata, o da dieci persone riunite, anche senza armi.
L’ordine del giudice
Il reato non consente l'adozione di misure cautelari e, pertanto, le forze dell'ordine non sono in grado di espellere gli occupanti abusivi finché non interviene un ordine del giudice. Pertanto, la parte lesa, per riottenere il suo appartamento, deve attendere i tempi, non brevi, della giustizia. Nel dibattito che si è sviluppato in tale materia vari interpreti hanno richiesto un intervento normativo che legittimi l'immediato allontanamento, ad opera delle forze dell'ordine, degli occupanti abusivi delle abitazioni. La Cassazione nella sentenza 29989/2020 è intervenuta affermando la necessità del giudice di motivare in maniera stretta la ricorrenza, in tali casi, della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall' articolo 131 bis Codice penale.
La valutazione della gravità
Nel caso trattato la Corte di appello aveva assolto un imputato dal reato di cui agli articoli 633, 639 bis Codice penale per l'applicazione dell'articolo 131 bis Codice penale e il procuratore generale aveva presentato ricorso, poiché lamentava l'erronea applicazione della norma, in quanto il giudice di appello non aveva valutato la gravità del fatto: invero la condotta del reo si era protratta per dieci mesi e aveva prodotto ingenti danni alla parte civile. Il giudice di legittimità affermava che il giudice, per sostenere la ricorrenza dell'articolo 131 bis Codice penale, doveva compiere una valutazione complessa e congiunta di tutte le particolarità del caso esaminato, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza desunta dall'entità del danno o del pericolo.
Il giudice, una volta accertato il reato, doveva motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento, per valutarne la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e il bisogno di pena. Nel caso trattato la Corte di appello si era limitata ad affermare che l’imputato era incensurato e che le contestazioni avevano avuto un modesto impatto sociale. La Cassazione ha criticato la sentenza poiché il giudice, nella stessa, non dimostrava di avere preso in considerazione, ai sensi dell'articolo 133 Codice penale, gli indici di gravità oggettiva del reato, in relazione alla modalità della condotta e del danno prodotto alla persona offesa e il grado di consapevolezza dell'imputato. Per tali ragioni la Cassazione annullava la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di appello perché proceda ad una nuova valutazione della sussistenza dei presupposti richiesti dall'articolo 131 bis Codice penale.
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di Luca Savi - coordinatore scientifico Unai Bergamo