Il nudo proprietario di una seconda casa decade dal diritto alla conservazione di un alloggio popolare
Ininfluente, ai fini del mantenimento del beneficio, la costituzione dell'usufrutto sull'immobile, in favore di un altro soggetto
L'assegnataria di un alloggio di edilizia residenziale pubblica ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza numero 1446/2019, con la quale la Corte d'appello di Roma aveva confermato il rigetto dell'opposizione dalla stessa spiegata avverso la determinazione dirigenziale di Roma capitale, che, in data 2 ottobre 2015, ne aveva dichiarato la decadenza dal diritto all’assegnazione, per aver perso i requisiti della non possidenza, richiesti dall'articolo 11 comma 1 lettera c) della legge regionale del Lazio 12 del 1999.
La ricorrente, che per effetto di una precedente compravendita aveva acquistato dal padre un appartamento in Roma, al fine di non veder compromesso il proprio diritto alla conservazione dell'alloggio popolare, aveva, a sua volta, contestualmente all'acquisto, costituito usufrutto in favore della madre, riservando per sé solo la nuda proprietà dell'immobile in questione ed aveva sostenuto in giudizio che, grazie alla disposizione giuridica effettuata, il proprio diritto al mantenimento della casa assegnatale fosse restato inalterato.
Quando si perdono i requisiti all’alloggio popolare
Nonostante l'intervenuta costituzione del diritto reale, la Corte distrettuale ha ritenuto, invece, irrilevante la circostanza ed anzi ha osservato come, indipendentemente dalla pur documentale costituzione dell'usufrutto, la condizione di nuda proprietaria di un immobile adeguato ed idoneo alla civile abitazione, altrettanto documentalmente riscontrabile in capo alla ricorrente, ne avesse comunque determinato la perdita dei requisiti (reddituali) soggettivi, previsti dall'articolo 11 lettera c) della citata legge regionale, necessari per continuare ad occupare legittimamente un alloggio popolare.Proposto ricorso in Cassazione, e costituitasi la resistente/controricorrente Roma capitale, la causa veniva trattenuta in decisione, senza deposito di memorie.
La decisione della Suprema corte ed il concetto di nuda proprietà
La Cassazione, con l'ordinanza numero 10017 del 14 aprile 2023, ha respinto integralmente le censure articolate dalla ricorrente. Ad avviso del collegio, infatti, il concetto di nuda proprietà è una mera costruzione dottrinale che serve unicamente per indicare concettualmente, in maniera semplice e comprensibile, quella situazione giuridica e patrimoniale che si viene a creare ogni volta che la (piena) proprietà di un immobile è gravata da usufrutto.Il Codice civile, infatti, secondo la cassazione, conosce ed impiega unicamente il concetto di proprietà unitariamente considerata e non è consentito alla libera interpretazione dei privati scindere, nell'ambito di una nozione unitaria quale, appunto, quella di proprietà, la cosiddetta nuda proprietà.
A tale ultima figura può, invece, unicamente riconoscersi la funzione meramente convenzionale di indicare la situazione giuridica che caratterizza il diritto di proprietà, allorché, per effetto dell'esistenza dell'usufrutto, esso non viene di fatto esercitato e goduto pienamente.Ne consegue, ad avviso della Cassazione, che la norma regionale, male interpretata da Roma capitale, almeno secondo la ricostruzione operata dalla ricorrente, nel momento in cui sancisce l'incompatibilità tra la proprietà di un immobile e l'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale popolare, alla luce dell'unitarietà del concetto in esame già evidenziata, non può per ciò stesso presupporne la compatibilità con la (sola) nuda proprietà.
La valenza oggettiva del diritto di proprietà
Alle superiori considerazione, la Corte ne aggiunge ulteriori, che appaiono decisive e dirimenti.Come già correttamente rilevato dalla corte distrettuale, la decadenza dal diritto all’assegnazione in locazione di un alloggio economico e popolare risponde all’esigenza oggettiva di evitare che abitazioni destinate a categorie sociali maggiormente esposte rimangano nella disponibilità di chi non ne abbia effettivamente bisogno.Ed allora, se questa è la ratio della norma, è del tutto evidente che la proprietà di un (altro) immobile, adatto ed adeguato alle esigenze del nucleo familiare dell'assegnatario di una casa popolare, debba assumere una valenza oggettiva come indice dell'insussistenza dello stato di bisogno in capo al beneficiario, almeno nei termini presupposti dalla legge regionale.
Il principio di diritto
Sulla base delle considerazioni svolte, dunque, la Cassazione formula un principio di diritto molto chiaro: l’articolo 11, comma 1, lettera c), della legge regionale Lazio 6 agosto 1999, numero 12, là dove prevede, tra i requisiti soggettivi per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica destinata all’assistenza dei soggetti meno abbienti, la mancanza di titolarità del diritto di proprietà su un alloggio adeguato alle esigenze abitative del nucleo familiare, deve intendersi riferito sia all’acquisto del diritto di proprietà su un immobile (sin dall'origine) gravato da usufrutto, sia, come nel caso esaminato, all’acquisto della piena proprietà, seguito solo in un secondo momento dalla costituzione di un usufrutto.Ricorso rigettato, dunque, e condanna alle spese di lite per l'incauta ricorrente, costretta a versare anche un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato.