Condominio

Il regolamento contrattuale del condominio va interpretato come un contratto

Il regolamento contrattuale sulle spese va intepretato in via sistematica e non in senso letterale

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di Rosario Dolce

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza nr 23128 del 19 agosto 2021 (relatore Antonio Scarpa), riferisce sui criteri di interpretazione di un regolamento contrattuale, e, in particolare, all'approccio ermeneutico da tenere in ordine alla valutazione dei criteri di ripartizione delle spese.

Il giudice di legittimità, intanto, premette che l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti, criteri convenzionali di ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio approvati da tutti i condomini, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l’omesso esame di fatto storico ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, codice procedura civile (argomentazione tratta dalla Cassazione 14460/2011; conforme 17893/2009).

Ciò posto, nel caso in specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto errata l'interpretazione offerta dal giudice di merito rispetto il tenore della clausola: che richiamava la necessità di procedere alla suddivisione delle spese in virtù di “tabelle a redigere” . Secondo i giudici di legittimità una simile clausola, per come congegnata letteralmente in modo equivoco, significava non tanto la possibilità di provvedere ad una ripartizione delle spese attraverso l'impiego di criteri diversi dai preesistenti, fatto salvo il conguaglio finale, quanto la necessità di poter modificare quest'ultime solo previa approvazione di nuove tabelle (che nella fattispecie non era occorso).

In tal senso – soggiunge il decidente – potrebbe convenirsi con la sentenza impugnata che un regolamento di condominio, contenente una convenzione sui criteri di riparto delle spese, che faccia rinvio alle “tabelle a redigere”, deve intendersi subordinato pattiziamente nella sua efficacia alle tabelle millesimali da formare in futuro, nel senso che tali nuove tabelle avrebbero formato un necessario documento integrativo del negozio risultante dall’accordo dei contraenti.L’errore del giudice di merito sta, però, nell’essersi limitata ad individuare il significato lessicale dell’espressione “tabelle a redigere” adoperata nel testo negoziale al fine di ricostruire l’intenzione comune dei condomini.

L’articolo 1362 del Codice civile, quando nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, pur senza svalutare l’elemento letterale del contratto, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.

D’altro canto, concorre con l’articolo 1362 codice civile il criterio di cui all’art. 1363 codice civile, sicché bisogna aver riguardo, in primo luogo, allo scopo pratico che le parti hanno inteso realizzare con la stipulazione del contratto, e comunque interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, nonché dal comportamento tenuto dalle parti anche dopo la conclusione dello stesso.

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