Fisco

L’amministratore rischia anche per il fisco se non adotta il conto corrente condominiale

È il contribuente che deve provare la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili

di Giulio Benedetti

L'articolo 1129 Codice civile impone all'amministratore di fare transitare le somme del condominio su di un apposito conto corrente bancario intestato al condominio e ciascun condòmino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica. L'amministratore che non adotta il conto corrente condominiale non solo compie una grave irregolarità, che legittima la richiesta della sua revoca al Tribunale da parte dei condòmini, ma si espone a gravi conseguenze di diritto tributario.

Le pronunce di legittimità
L'agenzia delle Entrate può contestargli come reddito imponibile la somma totale dei versamenti effettuati sul suo conto corrente. È il caso trattato dalla Cassazione (nelle ordinanze numero 29307 , numero 29831 e numero 29306 del 2021) che ha però respinto alcuni ricorsi dell'agenzia delle Entrate ( che condannava al pagamento delle spese di giudizio e di un ulteriore contributo unificato) che aveva emesso, nei confronti degli eredi di un' amministratrice condominiale deceduta , due avvisi di accertamento con cui riprendeva a tassazione maggiori redditi tratti dalla defunta , durante gli anni 2006 e 2007, ai fini delle imposte dirette, dell'Irap e dell'Iva.

La Commissione provinciale tributaria e la Commissione tributaria regionale accoglievano parzialmente i ricorsi degli eredi e respingevano le pretese del fisco. L'Agenzia ricorreva alla Cassazione lamentando che la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente ritenuto che la documentazione prodotta dall'Ufficio non fosse sufficiente a superare la regola presuntiva a carico del contribuente in tema di accertamenti bancari. La Cassazione dichiarava inammissibile il motivo di ricorso, poiché la presunzione legale dell'articolo 32 del Dpr 600/1973 onera il professionista, quando l'Ufficio gli contesta i versamenti sul suo conto corrente, a provare in modo analitico l'estraneità degli stessi ai fatti imponibili.

La prova è in capo al contribuente
A seguito della sentenza della corte Costituzionale 228/2014, è venuta meno l'equiparazione logica tra l'attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti, mentre resta legittima l'imputazione a compensi delle somme risultanti da operazioni bancarie di versamento (Cassazione 6093/2016). Pertanto, la Cassazione afferma che spetta al contribuente la dimostrazione della sussistenza di specifici costi e oneri deducibili che deve essere fondata su concreti elementi di prova e non su una presunzione di carattere generale o sul generico richiamo all'equità (Cassazione 15161/2020).

Nel caso trattato la Commissione tributaria regionale, con un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che le ricevute di pagamento degli oneri condominiali, prodotte dai ricorrenti, non trovassero corrispondenza nei versamenti effettuati sui conti correnti dall'amministratrice, né veniva raggiunta la prova che gli assegni incassati dalla stessa fossero provenienti dai condomìni amministrati. La Corte concludeva perciò di non potere rivalutare i fatti storici compiuti dai giudici di merito e respingeva i due ricorsi dell'agenzia delle Entrate.

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