La deroga al criterio di ripartizione spese deve essere prevista da regolamento o da delibera
Quest'ultima deve essere approvata all'unanimità qualora dalla ripartizione per millesimi si intenda passare ad una pro capite
Il criterio di ripartizione delle spese indicato dal Codice civile può essere derogato ma la convenzione modificatrice della disciplina legale dovrà risultare dal regolamento o da una delibera approvata all'unanimità. Diversamente, la divisione degli esborsi dovrà rispettare la proporzionalità dell'articolo 1123 del Codice civile non essendo consentito all'assemblea, con decisione assunta solo a maggioranza, di suddividere con criterio pro capite gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Lo afferma il Tribunale di Pordenone con sentenza 226 del 24 aprile 2020.
La vicenda
Sono due condòmini a formulare opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento dei circa 1.500 euro richiesti loro dal condominio. Quella somma, contestano, era stata calcolata con deliberazione nulla per violazione dei criteri legali di ripartizione delle spese condominiali. Il giudice di pace boccia l'opposizione e il caso arriva al Tribunale dove i due insistono perché si dichiari la nullità delle delibere. L'assemblea, tornano a ribadire, aveva approvato la divisione fra condòmini delle spese di rifacimento dell'impianto fumario non più a norma. Ma nel farlo aveva applicato – con decisione assunta a maggioranza e non all'unanimità – un criterio di divisione per teste e non millesimi, come vuole l'articolo 1123 del Codice civile.
La decisione
Rilievo accolto: le delibere erano effettivamente nulle. Il condominio, si puntualizza in sentenza, aveva adottato un criterio di ripartizione delle spese condominiali che violava quello legale che esige una divisione proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive. Ed è certo, aggiunge, che un tale criterio possa essere derogato ma è anche certo che «la convenzione modificatrice della disciplina legale può essere contenuta o nel regolamento condominiale o in una deliberazione dell'assemblea che venga approvata all'unanimità» (Cassazione 19651/2017 che rinvia alle sezioni Unite 18477/2010).
In sintesi, salvo diversa convenzione adottata all'unanimità, la divisione delle spese condominiali deve necessariamente seguire il criterio legale di proporzionalità, non potendo l'assemblea, con semplice delibera a maggioranza, distribuire con criterio «capitario» gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune (Cassazione 4259/2018). Era evidente, quindi, che le delibere in questione – giacché approvate a maggioranza – non erano valide.
Delibera nulla
Del resto, secondo consolidata giurisprudenza, la delibera condominiale che «a maggioranza ed in deroga al criterio legale del consumo effettivamente registrato o del valore millesimale delle singole unità immobiliari servite, ripartisca in parti uguali tra queste ultime le spese di esercizio dell'impianto di riscaldamento centralizzato è, indipendentemente dal precedente criterio di riparto adottato nel condominio, nulla per impossibilità dell'oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell'assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l'accordo unanime di tutti i condomini, quale espressione della loro autonomia negoziale».
In sintesi, non sono solamente annullabili ma affette da nullità per impossibilità dell'oggetto – di conseguenza impugnabili a prescindere dall'osservanza del termine perentorio di trenta giorni – le delibere dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi di ripartizione delle spese. Ma già Cassazione 6714/10 aveva affermato che l'assemblea, senza accordo unanime, non può stabilire o modificare i criteri di riparto delle spese violando i dettami dell'articolo 1123 del Codice civile. Peraltro, la nullità non scatta soltanto se si modifichi permanentemente a maggioranza il criterio di ripartizione delle spese legali, ma anche nell'evenienza in cui la modifica sia circostanziata alla singola spesa. Così, ben potendo il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo esprimersi sulla validità delle delibere assembleari – sempre che le ritenga nulle e non annullabili come annotava Cassazione 305/2016 – il Tribunale, accertata la nullità delle delibere discusse, revoca l'ingiunzione dei crediti per illegittimità del criterio di calcolo adoperato.
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di Luca Savi - coordinatore scientifico Unai Bergamo