Condominio

La natura abusiva della costruzione rileva solo nei rapporti con l'amministrazione pubblica

Non si può sollevare per giustificare il mancato rispetto delle distanze legali

di Valeria Sibilio

Distanze legali ed abusi edilizi, due temi particolarmente insistenti nelle controversie giudiziarie in ambito condominiale. La sentenza della Cassazione 2637 del 2021, ha chiarito alcuni aspetti legati a queste tipologie di problemi. All'origine dei fatti, il tribunale di Cagliari, condannava la proprietaria di un immobile all'arretramento dell'edificio realizzato all'interno di un lotto, fino alla distanza di cinque metri dal confine con quello del proprietario confinante e fino alla distanza di dieci metri dall'edificio di quest'ultimo. L'attore, invece, veniva condannato all'arretramento dei balconi ai piani rialzati ed alla mansarda con relative scale d'acce sso, oltre all'eliminazione delle luci realizzate al piano garage in difformità della concessione edilizia. Entrambi gli attori venivano condannati al risarcimento dei danni quantificati, per ciascuno, in euro 25.000,00.

La violazione del confine
Per il tribunale, la licenza edilizia con la quale la convenuta era stata autorizzata ad edificare sul confine, aveva violato la disposizione del programma di fabbricazione vigente all'epoca della convenzione di lottizzazione, che imponeva una distanza tra le pareti pari a dieci metri. Anche se tale normativa avesse riconosciuto la possibilità di costruire sul confine, tale opportunità avrebbe dovuto essere esclusa in ragione del principio della prevenzione, essendo chiaro che l'attore aveva costruito per primo a cinque metri dal confine.

Il tribunale rilevava, inoltre, la violazione delle distanze legali anche da parte dell'attore per aver costruito i balconi e la mansarda ad una distanza inferiore a cinque metri dal confine. Perciò, lo condannava all'arretramento delle opere ed alla eliminazione delle luci realizzate al piano garage in difformità rispetto alla concessione edilizia.Nel ricorso in appello dell'attrice, la Corte riformava parzialmente la sentenza di primo grado, rilevando che la realizzazione di finestre in posizione differente da quanto prescritto nella concessione, rappresentavano un abuso edilizio nei confronti del quale la ricorrente non era tenuta al rispetto della distanza legale.

Il ricorso alla Suprema corte
A sua volta, l'attore vedeva rigettato il proprio appello incidentale con conseguente condanna al rimborso delle spese dei due gradi di giudizio, in quanto le luci risultavano difformi rispetto alla concessione edilizia, e i balconi erano stati costruiti ad una distanza inferiore a cinque metri dal confine con la proprietà confinante.L'attore, perciò, ricorreva in Cassazione sulla base di otto motivi nei quali, nel primo, rilevava l'erroneità della decisione nel ritenere che l'attice non fosse tenuta a rispettare le distanze legali nei confronti di un abuso edilizio.

Le motivazioni del ricorrente
Per il ricorrente, la concessione edilizia che autorizzava l'appellante a costruire l'edificio sul confine tra i fondi e a distanza di cinque metri dalla parete finestrata era illegittima e, quindi, disapplicata, come aveva correttamente ritenuto il tribunale.Gli altri motivi vertevano sulla mancanza di argomentazioni che confutassero le ragioni della sentenza; l'esclusione della violazione della disposizione sul distacco dal confine, sulla quale, invece, il tribunale si era pronunciato, e che, ritiene, sia stata correttamente posta; la dichiarazione di legittimità della concessione edilizia dell'attrice senza argomentare sulle ragioni di dissenso con il tribunale e con il consulente tecnico di parte dell'attore; l'esclusione dell'applicazione del principio di prevenzione senza considerare che l'articolo 16 delle norme di attuazione del Puc stabilisce uno stacco minimo dal confine di cinque metri; l'aver posto illegittimamente, a fondamento della decisione, un documento non ammesso dal tribunale ed il rigetto dell'appello incidentale nel quale si rilevava che distanza delle luci dal confine e balconi aggettanti non devono essere computati ai fini della distanze.

La decisione
Gli ermellini, ritenendolo fondato, hanno accolto il primo motivo di ricorso ed assorbito gli altri. La natura abusiva della costruzione rileva unicamente nei rapporti con l'amministrazione pubblica e non anche ai fini del rispetto delle distanze legali. Le norme di cui all'articolo 872, comma 2°, Codice civile, in tema di distanze tra costruzioni, sono le uniche che consentano, in caso di loro violazione, la richiesta, oltre che del risarcimento del danno, anche della riduzione in pristino, senza rilevare il carattere abusivo della costruzione finitima, il suo insediamento in zona non consentita, la disomogeneità della sua destinazione rispetto a quella conferita al fabbricato del privato istante in conformità con le disposizioni amministrative in materia e la sua insuscettibilità di sanatoria amministrativa, trattandosi di circostanze che, pur legittimando provvedimenti demolitori da parte della pubblica ammini strazione e pur essendo astrattamente idonee a fondare una pretesa risarcitoria in capo al presunto danneggiato, non integrano, in alcun modo, gli estremi della violazione delle norme.

Nello stesso modo, le disposizioni dettate dall'articolo 9 del Dm 1444 del 1968 trovano applicazione in relazione alla situazione concreta, a prescindere dalla distanza delle abitazioni già esistenti, dalla loro eventuale abusività o da altre disposizioni in senso contrario contenute negli strumenti urbanistici.Il giudice di secondo grado, affermando nella sentenza impugnata che, a fronte dell'abusività delle aperture praticate dall'attore nella parete antistante il fabbricato dell'attrice, quest'ultima non era tenuta all'osservanza della distanza legale di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prevista dall'articolo 9 del decreto ministeriale 1448/1968, non si è, evidentemente, attenuto ai principi esposti. Di conseguenza, gli ermellini hanno cassato la sentenza per un nuovo esame alla Corte d'appello di Cagliari.

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