Condominio

La responsabilità del condomino per crollo colposo di edificio

Non sempre il committente dei lavori risponde del danno, ne è esente quando derivi da scelte che presupponevano una competenza che non possiede

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di Giancarlo Martino

La Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza 29026 del 12 aprile/22 luglio 2022 , ha affermato che l'assoluzione del condomino-committente dei lavori di ristrutturazione edilizia mediante il ricorso alla formula «il fatto non costituisce reato», non preclude al condominio l'azione di risarcimento del danno cagionato dal crollo parziale della costruzione.

I fatti di causa

Nel caso in esame, il proprietario di un immobile sito in condominio appaltava ad una società edile l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione della sua unità abitativa.Durante le opere di rifacimento dell'appartamento si verificava il cedimento dei pilastri ed il conseguente crollo della porzione sommitale dello stabile condominiale, sicché il condomino-committente veniva sottoposto a procedimento penale per avere colposamente concorso alla determinazione dell'evento dannoso.

Segnatamente, la condotta colposa dell'imputato veniva considerata riconducibile a plurimi elementi.In primo luogo, egli aveva commissionato i lavori di ristrutturazione dell'appartamento ad un architetto che redigeva il relativo progetto senza possedere le qualifiche professionali necessarie.In secondo luogo, il committente aveva contribuito alla redazione della Cila in assenza delle competenze tecniche necessarie a valutare i rischi che l'esecuzione di un tale progetto comportava, così sottovalutando l'impatto dei lavori appaltati, che prevedevano la demolizione di tutte le tramezzature.Da ultimo, l'imputato ometteva di nominare un direttore dei lavori, nonché di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa esecutrice delle opere di ristrutturazione edilizia.

I motivi del ricorso in Cassazione

La Corte di appello di Roma, richiamando la motivazione resa dal giudice di prime cure, escludeva la ricorrenza dei profili di colpa innanzi indicati, affermando che l'imputato aveva affidato mediante contratto di appalto ogni incombenza tecnica, sia in fase progettuale sia in fase esecutiva, ad una società di professionisti regolarmente iscritta alla Camera di commercio e dotata di certificazioni che ne attestavano l'idoneità tecnico-professionale, sicché non ravvisava alcun profilo di culpa in eligendo a carico del committente.Avverso detta pronuncia il condominio, già costituitosi parte civile, presentava ricorso per Cassazione, con il quale censurava la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla totale esclusione della responsabilità del committente per il crollo verificatosi in occasione della realizzazione degli interventi edilizi.

In particolare, il condominio lamentava la violazione degli articoli 530 e 652 Codice procedura penale, deducendo l'erronea applicazione della formula assolutoria utilizzata. Segnatamente, il ricorrente chiedeva una modifica della pronuncia resa nei termini «il fatto non costituisce reato», perché non ostativa all'esercizio della relativa pretesa risarcitoria in sede civile.In tal senso, la parte civile adduceva una pronuncia con la quale la Corte costituzionale evidenziava la differenza tra le formule assolutorie «perché il fatto non sussiste» e «per non avere commesso il fatto» con la formula «perché il fatto non costituisce reato», la quale ultima, al contrario delle altre, riconosce la sussistenza della materialità del fatto storico e la riferibilità dello stesso all'imputato, ancorché neghi la punibilità per mancanza dell'elemento soggettivo.

Le differenti formule assolutorie

Al riguardo, la Suprema corte ha preliminarmente confermato l'irrilevanza penale della condotta posta in essere dal condomino-committente, richiamando la motivazione resa dai giudici di merito in ordine ai profili relativi all'assenza di colpevolezza in ordine al reato ascritto all'imputato.Nondimeno, la Corte ha ravvisato l'erronea applicazione della formula assolutoria con la quale erano stati definiti i procedimenti penali pregressi, osservando come dall'analisi della parte motivazionale delle sentenze di merito risultava pacificamente dimostrata la materialità della condotta omissiva ascritta all'imputato, nonché la sua rilevanza eziologica nella determinazione dell'evento disastroso.

Pertanto, è stato ribadito che «la formula assolutoria ‘per non avere commesso il fatto' deve essere usata quando manchi, sul piano meramente materiale ogni possibile relazione tra l'attività dell'imputato e l'evento dannoso, mentre quando invece sia accertata, sotto l'aspetto fenomenico, la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, ovvero quando dalle risultanze processuali emerga che un fatto - corrispondente alla figura tipica del reato - sussiste sicché la sentenza si limiti ad affermare che nella condotta dell'imputato non si ravvisa l'elemento soggettivo della colpa (o del dolo), la formula deve essere ‘perché il fatto non costituisce reato' in quanto in tal caso l'indagine concerne il rapporto di causalità psicologica, estrinsecandosi nella valutazione della condotta umana, riferita al comando della legge» .In applicazione di siffatti principi, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla formula assolutoria, rideterminandola nel «fatto non costituisce reato» in luogo di quella adottata di «non avere commesso il fatto» e disponendo il rinvio della questione al giudice civile per le relative determinazioni.

Le responsabilità del committente

La pronuncia in commento offre lo spunto per una breve disamina in ordine alla responsabilità del condomino per crollo colposo di un edificio, con particolare riferimento alle ipotesi in cui l'evento dannoso si verifichi nel corso della fase esecutiva di un contratto di appalto avente ad oggetto la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia.È noto come a norma dell'articolo 1655 Codice civile l'appalto è il contratto con il quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l'obbligazione di compiere per l'altra (committente) un'opera o un servizio, verso un corrispettivo in denaro.

La conclusione di un contratto di appalto avente ad oggetto l'esecuzione di interventi di ristrutturazione edilizia se, da un lato, grava l'appaltatore del cosiddetto rischio tecnico inerente alla realizzazione delle opere commissionate, dall'altro, non esclude la responsabilità del committente per i danni cagionati a terzi. Difatti il committente, allorché risulti anche proprietario o altrimenti detentore del bene interessato dalle opere di rifacimento, è destinatario di peculiari obblighi di vigilanza sulla corretta esecuzione dell'intervento.Invero, l'articolo 2051 Codice civile disciplina un modello speciale di responsabilità fondato sul rapporto tra danneggiante e “cosa”, a norma del quale «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito».

La responsabilità da danno di cose in custodia

Il criterio di imputazione della norma citata ha carattere oggettivo e non si fonda su una presunzione di colpa, essendo sufficiente per la sua configurazione la dimostrazione da parte del danneggiato del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno arrecato. Ne consegue che il condomino-committente dei lavori di ristrutturazione edilizia, aventi ad oggetto un immobile in sua proprietà esclusiva e sito all'interno di un contesto condominiale, in qualità di custode del bene è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie affinché la realizzazione delle opere appaltate non rechi pregiudizio alcuno.In tal senso, la titolarità dei richiamati obblighi di custodia e vigilanza rappresenta un elemento idoneo a differenziare la posizione del committente da quella dell'appaltatore, così delineando nei confronti del primo una peculiare posizione di garanzia, consistente nell'obbligo di impedire che dalla realizzazione delle opere di ristrutturazione edilizia possano determinarsi eventi dannosi.

A tal proposito, il Dlgs 81/2008 individua a carico del committente taluni obblighi sia durante la fase di progettazione sia durante la fase esecutiva dell'opera, tra i quali si rinvengono gli oneri di verifica delle capacità organizzative, tecniche e professionali dell'impresa scelta per l'esecuzione dell'intervento, anche in relazione alla pericolosità e complessità dei lavori affidati . Ne consegue che allorquando nel corso della fase esecutiva di un'opera di ristrutturazione edilizia si verifichi il crollo parziale dell'edificio, il condomino-committente potrà essere chiamato a rispondere dei reati di crollo colposo di costruzione ovvero di rovina di edifici, rispettivamente previsti dagli articoli 434, 449 e 676 Codice penale.

La rovina di edifici e le differenze con il crollo

In materia, la giurisprudenza di legittimità afferma che a norma degli articoli 434 e 449 Codice penale integra il delitto di crollo colposo di costruzione, totale o parziale, non qualsiasi distacco con caduta al suolo di singoli elementi costruttivi di un edificio, bensì il crollo che assuma la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento che, valutato ex ante, assume tale gravità da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante. Per converso, per la configurabilità della contravvenzione di rovina di edifici ex articolo 676 Codice penale non è necessaria una tale capacità diffusiva né si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone.

Nelle predette ipotesi, al fine di valutare la responsabilità penale del committente è richiesta una verifica in concreto relativa all'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, in considerazione delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o di prestazione d'opera, nonché alla agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo.In assenza di detti elementi non è consentito muovere un addebito di responsabilità penale nei confronti del committente, non potendosi dimostrare la ricorrenza del momento soggettivo, doloso o colposo, necessario per ritenere integrate le fattispecie in esame.

Nessuna responsabilità se il committente non è competente

Ed invero, la giurisprudenza afferma che in tema di crollo colposo di costruzioni determinato da lavori edilizi affidati in appalto e assentiti o autorizzati dalla pubblica amministrazione non è configurabile, sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, la responsabilità del committente in relazione a scelte che richiedono una specifica competenza tecnica, demandate a soggetti qualificati e diligentemente selezionati.Nella medesima ottica si colloca anche la pronuncia in commento, che in aderenza al percorso argomentativo e motivazionale seguito dalle pregresse pronunce di merito non ha ritenuto ravvisabile un'ipotesi di culpa in eligendo nei confronti del condomino-committente, così escludendo la responsabilità penale dell'imputato.

D'altra parte, la Suprema corte ha affermato che la sussistenza di una causa di esclusione della colpevolezza se, da un lato, risulta idonea ad escludere il ricorso all'applicazione della pena, dall'altro, non preclude al giudice investito della questione la possibilità di rimodulare la formula assolutoria adottata, a condizione che siano comunque accertate sul piano fenomenico l a materialità della condotta omissiva ascritta all'imputato e la sua rilevanza eziologica nella determinazione dell'evento disastroso. Ne consegue che l'accertamento giudiziale relativo alla sussistenza dell'elemento oggettivo nei reati di crollo colposo o di rovina di edificio, ancorché insufficiente per la loro integrazione in sede penale, è considerato idoneo a rideterminare la pronuncia assolutoria nella formula «il fatto non costituisce reato» in luogo di quella precedentemente adottata per «non avere commesso il fatto», così consentendo alla costituita parte civile l'esercizio della relativa pretesa risarcitoria.

Se il custode non è il condomino ma l’amministratore

Nell'ambito della configurabilità dei reati de quo una questione ulteriormente dibattuta riguarda la possibilità di individuare una causa di esclusione della responsabilità penale del singolo condomino, allorché quest'ultimo abbia preventivamente conferito all'amministratore le funzioni di custodia e vigilanza correlate alla cura dell'edificio.Al riguardo, emergono in dottrina e giurisprudenza ricostruzioni che attribuiscono diversa efficacia all'istituto giuridico della delega di funzioni in ambito condominiale.

In tal senso, una prima impostazione riconosce alla delega di funzioni efficacia oggettiva, ritenendo che con essa si determini un vero e proprio trasferimento della posizione di garanzia dal condomino-delegante all'amministratore-delegato, con conseguente esonero totale del garante principale da responsabilità penale, mediante un procedimento di scissione tra la posizione del soggetto originariamente destinatario del precetto penale e quella di colui che successivamente assume le funzioni di custodia e vigilanza del bene.Al contrario, un diverso orientamento riconosce all'istituto della delega di funzioni efficacia meramente soggettiva, ritenendo che quest'ultima sia idonea unicamente ad incidere sulle modalità di adempimento dell'obbligo conferito, con la conseguenza di escludere nei confronti del solo garante originario la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, rappresentato nel caso in esame dalla culpa in eligendo o in vigilando idonea ad integrare la fattispecie di crollo colposo di edificio.

L’ipotesi di corresponsabilità

In tal senso si rinvengono alcune pronunce con cui la giurisprudenza di legittimità, limitandosi a riconoscere efficacia soggettiva alla delega di funzioni conferita in ambito condominiale, individua nei casi di crollo colposo dello stabile condominiale un'ipotesi di corresponsabilità penale tra il condomino-delegante e l'amministratore-delegato.

Ed invero, costituisce diritto acquisito che a seguito del procedimento di nomina anche l’amministratore del condominio assume ex articolo 40 comma 2 Codice penale una peculiare posizione di garanzia, da cui deriva l’obbligo di rimuovere ogni situazione di pericolo concernente la rovina delle parti comuni, mediante il ricorso ad atti di manutenzione ordinaria e straordinaria volti a prevenire situazioni di pericolo . Ne consegue che la delega di funzioni, pur in presenza dei requisiti di validità previsti dalla legge, non è considerata idonea ad escludere la responsabilità penale del condomino-delegante, né a trasferirla interamente in capo all'amministratore-delegato o a terzi.

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