Condominio

La tutela dei beni comuni ad opera dell'amministratore non può mai avvenire mediante azioni lesive o violente

Qualora li compie, sradicando le piante della còndomina collocate nel cortile condominiale, ne risponde personalmente

di Ivana Consolo

Sono molteplici i compiti, i doveri, ed i poteri che la legge attribuisce agli amministratori di condominio. Talvolta, si rischia di “peccare in eccesso”, ritenendo di poter agire in qualsivoglia maniera pur di tutelare la condominialità dei beni. Il principio della sovranità dell’assemblea, può poi contribuire ad accrescere l’erronea convinzione che tutto sia lecito o doveroso; ed ecco che la possibilità di incorrere in spiacevoli inconvenienti diventa concreta. È esattamente quanto accaduto all’amministratore di condominio che viene coinvolto nella vicenda giudiziaria che sta all’origine del provvedimento in esame. Trattasi della sentenza numero 1105 emessa in data 13 luglio dal Tribunale di Brindisi che, pur essendo un provvedimento di merito e non di legittimità, può rappresentare un serio monito per tutti coloro che hanno l’onere di amministrare le compagini condominiali.

La vicenda

La proprietaria di un appartamento facente parte di un condominio, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Brindisi, l’amministratore dello stesso condominio, per chiedere ed ottenere la sua personale condanna al risarcimento per danni (patrimoniali e non patrimoniali) che ella assumeva di aver subìto. Ma qual è l’accaduto all’origine della controversia? Ebbene, in assenza della condòmina, l’amministratore aveva divelto, dal muro in cui era stata infissa, una struttura in legno dotata di teli ombreggianti, danneggiandola, ed aveva altresì asportato diverse piante invasate, ed estirpato dal terreno un ficus benjamin, tutti beni di proprietà esclusiva della ricorrente, che ella aveva proceduto a collocare nel cortile condominiale.

Per tale condotta, oltre ad essere citato in Tribunale per risarcimento danni, l’amministratore era stato anche citato dinanzi al Giudice di pace per il reato di danneggiamento previsto dall’articolo 635 del Codice penale; tuttavia veniva assolto, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Nell’ambito del procedimento per risarcimento, si costituiva in giudizio l’amministratore, il quale preliminarmente eccepiva la carenza della propria personale legittimazione passiva, in quanto sosteneva di avere agito in qualità di amministratore del condominio, e di essere stato espressamente autorizzato dall'assemblea dei condòmini ad operare nel modo descritto dalla ricorrente.

Chiedeva dunque il rigetto della domanda formulata dalla condòmina, ritenendola destituita di fondamento. La ricorrente, nei propri scritti difensivi, faceva riferimento ad una sentenza già passata in giudicato, con cui lo stesso Tribunale di Brindisi aveva di fatto annullato la delibera condominiale cui accennava l’amministratore.Investiti della vicenda, i giudici pugliesi, procedono con l’esame degli atti e dei fatti di causa, ed individuano immediatamente la totale assenza di pregio giuridico della posizione processuale dell’amministratore.

La decisione

Nella fattispecie in esame, la condotta che ha cagionato il danno lamentato dalla condòmina, non può in alcun modo farsi rientrare tra i compiti propri di un amministratore di condominio.Come potrebbe, difatti, considerarsi compito precipuo di un amministratore quello di operare con violenza sulle cose presenti nell’edificio condominiale?Non regge neppure l’assunto difensivo circa la condotta tenuta in assolvimento di un onere imposto dall’assemblea dei condòmini; neanche sotto forma di degenerazione ed eccesso al normale esplicarsi del compito in questione.

La responsabilità del condominio, invocata dal convenuto con l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, non appare in alcun modo configurabile, neanche a norma dell’articolo 2049 del Codice civile (responsabilità di padroni e committenti). E difatti, se anche si volesse accedere alla teoria dell’autorizzazione assembleare ad intervenire per la rimozione e la pulizia di una parte comune, giammai si potrebbe riconoscere in capo all’assemblea dei condòmini il potere di autorizzare un amministratore ad assolvere ad un compito usando violenza sulle cose, o comunque, tenendo condotte potenzialmente o concretamente dannose.La responsabilità di quanto subìto dalla condòmina ricorrente, è dunque esclusiva e personale, ed è interamente riconducibile in capo all’amministratore.

Responsabilità diretta dell’amministratore

L’amministratore ha demolito il manufatto di proprietà esclusiva della condòmina, e tale sua azione, oltre a privare la stessa della possibilità di godimento di uno o più beni, ha anche reso inservibili gli stessi.Non è dunque ravvisabile nel caso di specie alcuna circostanza tale da escludere la responsabilità diretta e personale dell’amministratore; neppure la depenalizzazione della sua condotta.Difatti, la Cassazione ha avuto modo di affermare che: «il danno prodotto da un fatto ingiusto, è risarcibile sia nel caso in cui il fatto non costituisca reato nel momento in cui è commesso, sia nel caso in cui in quel momento il fatto integri anche una fattispecie criminosa, sia infine, nel caso in cui il fatto, pur costituendo reato nel momento della sua commissione, abbia successivamente perduto la sua connotazione di illiceità».

Alla luce della disamina condotta dal Tribunale pugliese, le ragioni della condòmina si appalesano meritevoli di pieno accoglimento, poiché fondate in fatto ed in diritto. Viene riconosciuto il risarcimento del danno patrimoniale, e con esso, anche il danno non patrimoniale cosiddetto soggettivo, in quanto la ricorrente è rimasta vittima di un fatto che, al momento della sua realizzazione, costituiva reato. La successiva depenalizzazione della condotta, comporta la condanna dell’amministratore ad una sanzione amministrativa. Attenzione, dunque, a non abusare del ruolo di amministratore di condominio.

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