Niente concorso di colpa del danneggiato per infiltrazioni da omessa manutenzione del vicino
L'eventuale mancanza di accorgimenti da parte di chi subisce il danno, non limita la responsabilità del danneggiante
Il Tribunale di Lecce, con la sentenza 2508 del 21 settembre 2021, ha affermato il principio per il quale, ove l'attore dimostri la sussistenza di gravi difetti strutturali nella proprietà confinante, e l'assenza di ogni ordinaria manutenzione della stessa da parte del proprietario/convenuto, tale da determinare causalmente le infiltrazioni subite all'interno del proprio immobile, non può dirsi integrata la fattispecie del concorso di colpa del creditore/danneggiato, di cui all'articolo 1227 Codice civile.
I dettagli della vicenda
L'eventuale mancata adozione di accorgimenti contenitivi da parte di quest'ultimo, infatti, in presenza di una diretta riconducibilità del danno all'evento, non può essere invocata dall'incauto danneggiante per limitare la propria responsabilità che, invece, dev'essere considerata esclusiva. Decisiva, nel caso di specie, la Ctu espletata nel corso dell'accertamento tecnico preventivo, prodromico al successivo giudizio di merito, dalla quale, senza ombra di dubbio, è emersa tanto la sussistenza dei danni subiti dall'immobile dell'attore, quanto la riconducibilità dei medesimi al fenomeno di tipo infiltrativo dovuto all'umidità di risalita proveniente dal confinante fondo, di proprietà del convenuto ente civico.
In particolare, l'ausiliario del Giudice ha sottolineato come, a fronte degli evidenti difetti costruttivi e della totale assenza di manutenzione ordinaria ascrivibili al convenuto, l'eventuale mancanza di «ulteriori quanto secondari» accorgimenti dell'attore, idonei a contenere le infiltrazioni subite, non appare elemento sufficiente a limitare la responsabilità cagionata dall'incuria dell'ente territoriale e che deriva, in capo a quest'ultimo, dalla diretta operatività dei doveri di custodia di cui all'articolo 2051 Codice civile.
La prova liberatoria del caso fortuito
In questo senso, il giudice salentino, dimostra totale aderenza al consolidato orientamento di legittimità, secondo il quale il criterio d'imputazione delle responsabilità derivanti da cose in custodia ha carattere oggettivo, ed è –necessario e- sufficiente, per la sua configurazione, che l'attore dimostri la sussistenza del nesso eziologico tra evento lesivo e il danno subito, in uno stretto e conseguenziale rapporto di causa ad effetto.Naturalmente, secondo l'orientamento citato, il custode/convenuto può dirsi esonerato solo ove riesca a fornire la prova liberatoria del cosiddetto caso fortuito, inteso come ogni evento atto ad interrompere il nesso causale, oltre che cronologico/temporale, tra il fatto storico ed il danno che ne è derivato (Cassazione 27724/2018).
Nel caso fortuito, ad avviso della Suprema corte, ben può rientrare la condotta negligente della vittima, che può atteggiarsi a concausa dell'evento, ma che, altrettanto pacificamente, assume una rilevanza fattuale che deve sempre essere valutata con riferimento al caso concreto.Nell'ipotesi sottoposta al vaglio del Tribunale di Lecce, il comune convenuto è rimasto, sul punto, completamente inerte.Non ha partecipato alle operazione peritali, non ha indicato quali condotte contenitive del danno l'attore avrebbe potuto, o dovuto, adottare e, neanche, ha evidenziato la concreta idoneità delle stesse ad evitare, o almeno a contenere, gli effetti negativi della risalita di umidità dal muro confinante.
Conclusioni
Tale grave inerzia probatoria, unita al rifiuto di aderire alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita, regolarmente promossa dall'attore ed ignorata dal comune -che pur conoscendo l'esito sfavorevole dell'esperito accertamento tecnico preventivo, ha negato ogni addebito in ordine ai fatti del successivo giudizio di merito- hanno, inevitabilmente, condotto il giudice del merito all'accoglimento integrale delle istanze processuali dell'attore danneggiato.