Condominio

Niente risarcimenti danni per chi compra l’area destinata a parcheggio comune

di Paolo Accoti

Nessun diritto al risarcimento se l'area venduta è gravata da un diritto d'uso di parcheggio.
Per principio generale, così come disposto dall'art. 1489 Cc, qualora il bene venduto sia gravato da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell'art. 1480 Cc (<<Se la cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno a norma dell'articolo precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno.>>).
Tuttavia, tale principio non risulta pienamente operante qualora ci si trovi al cospetto di un'area gravata da diritto reale d'uso di aree destinate a parcheggio, in quanto tale vincolo sulla proprietà del bene discende da norme imperative (art. 41-sexies L. n. 1150/1942, introdotto dall'art. 18 L. n. 765/1967) che, in quanto tali, sono sostenute dalla presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, pertanto, tale limitazione sull'immobile non può ritenersi apparente, secondo la previsione dell'art. 1489 Cc e, conseguentemente, non costituisce fonte di responsabilità a carico del venditore che non la abbia dichiarata nel contratto.
Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, II Sez. civile, con l'ordinanza n. 21582, pubblicata in data 22 Agosto 2019, relatore dott. A. Giusti.
La società costruttrice di uno stabile in condominio dopo essersi originariamente impegnata - con apposito patto d'obbligo - a destinare ad area di parcheggio una porzione dell'intera superfice, vendeva a Tizio gli appartamenti di cui alla scala B, con relativa autorimessa sita al piano interrato, nonché a Caio i restanti appartamenti.
A sua volta Tizio vendeva a Sempronio l'autorimessa n. 2 e 3, mentre i singoli appartamenti venivano venduti ad ulteriori e diversi soggetti privati.
Quest'ultimi, tuttavia, citavano in giudizio l'originario costruttore, nonché Tizio quale proprietario degli appartamenti di cui alla scala B, Caio proprietario dei restanti appartamenti e Sempronio a cui Tizio aveva venduto l'autorimessa n. 2 e 3, al fine di ottenere uno spazio su cui esercitare in modo esclusivo e permanente il diritto di parcheggio così come sancito dal legislatore.
Il Tribunale di Roma, accertato che l'area da adibire a parcheggio per gli attori risultava di mq. 215,82, condannava Sempronio - proprietario dell'autorimessa n. 2 e 3 - al rilascio dell'area nonché all'esecuzione di alcuni lavori indicati dal consulente tecnico d'ufficio, indispensabili per adibire l'area a parcheggio (che nel frattempo, evidentemente, era stata destinata ad altri scopi).
Accoglieva, quindi, la domanda di Sempronio tesa ad ottenere il risarcimento dei danni nei confronti degli eredi di Tizio venditore delle suddette autorimesse, con condanna alle spese di giudizio.
Rigettava, infine, la domanda di risarcimento dei danni e quella di manleva degli eredi di Tizio nei confronti della società costruttrice.
La Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza definitiva di primo grado, rigettava la domanda di risarcimento del danno avanzata da Sempronio, confermando nel resto la sentenza.
Propone ricorso per cassazione Sempronio, lamentando, tra l'altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1476, 1483, 1218 e 1223 Cc, lamentandosi del fatto che la Corte territoriale avrebbe immotivatamente rigettato la domanda di risarcimento danni sulla scorta del fatto che lo stesso non poteva non conoscere l'esistenza del vincolo di destinazione a parcheggio gravante sull'area.
La Suprema Corte osserva che, secondo «un principio più volte affermato da questa Corte regolatrice (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961; Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202; Cass., Sez. II, 25 maggio 2017, n. 13210), in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall'art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l'area scoperta esista e non sia stata adibita ad un uso incompatibile con la sua destinazione; ove lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato, invece, utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto ma, eventualmente, a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso ed il riconoscimento giudiziale del diritto reale d'uso degli spazi destinati a parcheggio può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all'edificazione. Sennonché da tale principio deriva che la configurabilità della sola tutela risarcitoria si ha quando lo spazio vincolato, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura».
Nel caso di specie, tuttavia, è emerso che la proprietà Sempronio e, in particolare, le autorimesse n. 2 e 3, sono localizzate all'interno della superficie destinata imprescindibilmente a parcheggio comune, evenienza che, come visto sopra, preclude qualsivoglia richiesta risarcitoria.
Per quanto concerne, infine, la lagnanza relativa alla circostanza per cui Sempronio, acquirente delle autorimesse, non potesse essere a conoscenza del vincolo di destinazione a parcheggio gravante sulle predette autorimesse, siccome non contenuto nel regolamento contrattuale di condominio ma neppure nel contratto di compravendita intervenuto tra Tizio e Sempronio, situazione - a dire del ricorrente Sempronio - che avrebbe legittimato il diritto al risarcimento del danno negato dalle Corti territoriali, la Suprema Corte ritiene infondata anche tale diverso profilo della medesima censura.
La stessa osserva come «il diritto reale d'uso di aree destinate a parcheggio, quale limite legale della proprietà del bene, deriva da norme imperative assistite, come tali, da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, sì che il vincolo da esse imposto non può legittimamente qualificarsi come onere non apparente gravante sull'immobile secondo la previsione dell'art. 1489 cod. civ. e non è, conseguentemente, invocabile dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non lo abbia dichiarato nel contratto (Cass., Sez. II, 18 aprile 2000, n. 4977)».
Il ricorso, pertanto, viene rigettato con condanna di Sempronio al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Nulla invece per le spese di lite, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in sede di legittimità. Allo sfortunato acquirente, quindi, non resta che chiedere al venditore la restituzione di quanto pagato per le autorimesse contestate, senza però alcun risarcimento specifico.

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