Non è diffamatoria la nota di un avvocato al Consiglio di disciplina sull’attacco di una collega in assemblea
Se i fatti citati sono veri e non offensivi va ricordato che il dissenso espresso nei limiti di legge è sempre consentito
Con la riduzione graduale della pandemia si svolgeranno nuovamente le assemblee condominiali nelle quali , oltre all'approvazione del bilancio, si discuteranno anche le spese straordinarie trainate dai bonus fiscali . Le discussioni su argomenti così importanti non sempre saranno ispirate al “fair play” ed al proposito è necessario affermare che il dissenso , se espresso nei limiti consentiti dalla legge, è sempre consentito. È il principio stabilito dalla Cassazione (sentenza 19325/2021) che ha annullato parzialmente una sentenza della Corte di appello la quale aveva parzialmente riformato la sentenza del tribunale il quale aveva dichiarato un avvocato colpevole del reato di diffamazione.
I fatti
Il reato era stato commesso dall'imputato con l'invio al Consiglio dell'ordine degli avvocati di una missiva in cui attribuiva ad una sua collega irregolarità compiute in un'assemblea condominiale. L'avvocato , il quale non aveva partecipato all'assemblea, attribuiva alla collega condotte di abusiva falsificazione del verbale, di averne offeso la sua reputazione , poiché la predetta collega aveva dichiarato il falso circa lo stato del contenzioso giudiziario in atto tra il condominio e l'avvocato e aveva apportato cancellature grossolane al verbale assembleare, successivamente alla chiusura dei lavori assembleari.
La Cassazione annullava senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione e annullava la sentenza agli effetti civili e rinviava la sentenza , limitatamente agli effetti civili, al Giudice civile competente per valore in grado di appello. Il giudice di legittimità dichiarava la prescrizione del reato in quanto dagli atti non emergeva l'innocenza dell'imputato sulla base della ricostruzione dei fatti operata nella sentenza, delle dichiarazioni della parte offesa, delle altre prove dichiarative, delle prove documentali.
Il diritto di critica
La Suprema corte riteneva fondato il ricorso dell'imputato relativamente alle statuizioni civili della sentenza, poiché la Corte di appello ha escluso la veridicità della verità dei fatti esposti circa la situazione di morosità dell'imputato e che lo ha fatto apparire ai condòmini come un cattivo pagatore. La Cassazione ha affermato che i giudici di rinvio devono valutare, nella condotta dell'imputato, una consentita critica nell'operato di un professionista , in quanto ricorre il diritto di critica qualora un soggetto , portatore di interessi di natura collettiva, indirizzi missive, segnalazioni o esposti , anche se contenenti espressioni offensive, ad organi sovraordinati , volti a censurare la condotta di un dipendente o di un associato , ponendone in dubbio la regolarità o la correttezza.
Legittima tutela degli interessi
Per la Cassazione accusare un professionista presso l'organo delegato al controllo della deontologia professionale di comportamenti che ne integrino la violazione è un fatto astrattamente privo di antigiuridicità , venendo in rilievo l'esercizio di un diritto, sempre che i fatti denunciati siano veri. Invero l'esponente , per mezzo della segnalazione, esercita una legittima tutela dei suoi interessi ( di cliente o di collega) attraverso il diritto di critica e con il limite della veridicità di quanto denunciato , che segna il perimetro entro il quale si può censurare l'altrui condotta.
Ricorre l'elemento soggettivo della condotta nell'uso consapevole da parte dell'agente di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive. Pertanto la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata , agli effetti civili, con rinvio al giudice civile che dovrà rinnovare l'esame circa la natura offensiva dell'esposto, alla luce della causa di giustificazione dell'esercizio del diritto , prevista dall'articolo 51 Codice penale.