Locazione

Non scatta la mora per due rate non pagate dall’inquilino in grosse difficoltà economiche

I pagamenti tra l’altro erano stati effettuati anche se in ritardo, causa stop dell’attività commerciale per le restrizioni Covid

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di Selene Pascasi

Bastano due rate anche non consecutive del canone e degli oneri accessori per mettere in mora l'inquilino senza lo si debba intimare o diffidare. In tal caso, per il proprietario scatta il diritto di ottenere l'immediata risoluzione del contratto con tutte le conseguenze, compresa ogni spesa sostenuta per le azioni legali per ottenere il risarcimento dei danni. Ma se il ritardo è dovuto a serie difficoltà e i pagamenti arrivano seppur non puntuali, la risoluzione non scatta. Lo scrive il Tribunale di Pistoia con sentenza 799 del 25 ottobre 2021.

I fatti
Accende la lite la domanda tesa ad ottenere la risoluzione di un contratto di locazione commerciale con condanna alla restituzione dell'immobile ed al risarcimento dei danni per omesso tempestivo rilascio. Controparte chiede le mensilità corrisposte due volte e il Tribunale boccia la pretesa di parte proprietaria. Il diritto alla risoluzione del contratto può esercitarsi, ricorda, per il mancato pagamento di due rate anche non consecutive del canone di affitto e degli oneri accessori e/o condominiali, qualunque ne sia la ragione. Circostanza sufficiente per costituire in mora il conduttore senza necessità di intimazione o diffida e per ottenere, previa immediata risoluzione del contratto, anche tutte le spese sostenute per le azioni legali finalizzate al ristoro dei danni.

Pagamenti effettuati, ma in ritardo
Tuttavia, nella vicenda, non solo non erano stati specificati né identificati i canoni scaduti ma al momento dell'avvenuta comunicazione di risoluzione contrattuale i pagamenti erano stati assolti seppure in ritardo. Inoltre, alla data di ricezione della decisa risoluzione venivano saldati gli arretrati compresi due canoni già versati. Elemento da considerare, poi, era il blocco di tutte le attività produttive disposto dal Governo con la legislazione d'emergenza che aveva determinato per la maggior parte dei lavoratori la completa impossibilità di svolgere attività lavorativa sino alla prima riapertura, influendo consistentemente nella possibilità per gli imprenditori di adempiere le proprie obbligazioni di pagamento (nel caso concreto, canone di locazione del locale adibito ad attività commerciale) maturate in quel delicato periodo. Difficoltà rese note al proprietario.

Il principio di buona fede va tutelato
Pertanto, la piena solvenza del conduttore non poteva non valutarsi nella regolamentazione complessiva del rapporto fra le parti trattandosi di un indice probatorio importante della sua capacità di adempimento che rendeva verosimile e fondata la riconducibilità causale dei ritardi all'eccezionalità della situazione generale, sociale e produttiva vissuta dal paese.

Del resto, il principio di buona fede che deve caratterizzare l'esecuzione del contratto ed il fondamento dell'articolo 91 comma 1 del Dl 18/2020 – ossia l'esigenza di sollevare lavoratori e imprese dagli effetti economici derivanti dalla forzata chiusura delle attività produttive – sollecitavano i creditori a chiudere un occhio sugli inadempimenti maturati nei mesi di totale chiusura. Una deroga senz'altro aderente alla fattispecie e tale da motivare il rigetto da parte del Tribunale di Pistoia della domanda risolutiva e l'accoglimento della riconvenzionale tesa a riavere i canoni pagati due volte.

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