Condominio

Nullità e annullabilità della delibera condominiale: i chiarimenti della Cassazione

La prima deve intendersi residuale, limitata agli specifici casi previsti dalla legge

di G. Sgrò – Centro studi Aiac

Come è noto, la nullità è la sanzione che il nostro ordinamento giuridico contempla in ordine ad atti che non risultino essere conformi a specifici principi. Anche le delibere condominiali possono essere affette da nullità e in tali circostanze, dal momento che le stesse non producono effetti, dal punto di vista giuridico è come se non esistessero. La nullità di una delibera assembleare può essere dichiarata in qualunque momento, anche in un tempo successivo alla sua adozione. Difatti, l'articolo 1422 Codice civile sancisce che «l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione».

Diversa dalla nullità della delibera condominiale è l'annullabilità. Una delibera è da considerarsi annullabile quando presenta vizi di forma, ma, sostanzialmente, è legittima. L'annullabilità della delibera assembleare trova la sua disciplina nell'articolo 1137 Codice civile , secondo cui la delibera è annullabile nel caso in cui non vengano rispettate le formalità richieste per il regolare svolgimento dell'assemblea. Un tipico esempio è rappresentato dalla delibera che ripartisce una spesa con una tabella millesimale diversa da quella prescritta dalla legge.

I fatti di causa

Recentemente, con la sentenza 23393 del 27 luglio 2022, la Cassazione, pronunciandosi in materia condominiale, ha chiarito la differenza fra nullità e annullabilità della delibera assembleare.Nella vicenda in esame, Caia, Tizio e Sempronio, condòmini di un edificio condominiale in quanto proprietari di alcune cabine poste al di sotto della piscina, adivano il Tribunale per chiedere la nullità di due delibere assembleari. I tre condòmini specificavano che:
•in data 21 agosto 2004, l'assemblea condominiale aveva a maggioranza, con la loro opposizione, deliberato l’esecuzione dei lavori di risanamento delle facciate delle palazzine “A” e “B” e disposto che anche i proprietari delle cabine partecipassero alla relativa spesa;
•in data 23 ottobre 2004, l'assemblea aveva a maggioranza e con la loro opposizione confermato il precedente deliberato e, dunque, ribadito la loro partecipazione alla spesa di rifacimento delle facciate;
•il regolamento condominiale contrattuale esonerava i proprietari delle cabine dalle spese riguardanti i corpi di fabbrica destinati ad abitazioni, sicché le delibere dovevano essere considerate nulle, in quanto prefiguranti un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello regolamentare.

Le pronunce di merito e quella di legittimità

Il giudice di prime cure dichiarava inammissibile la domanda di Caia, Tizio e Sempronio. Difatti, secondo il Tribunale, le impugnate delibere, pur derogando a maggioranza al criterio regolamentare - “per inerenza al corpo di fabbrica” - di ripartizione delle spese, non ne importavano modifica, pertanto dovevano considerarsi annullabili piuttosto che nulle; inoltre, assumeva che l’impugnazione, di cui all’iniziale domanda, era stata esperita tardivamente.La Corte territoriale rigettava il gravame; i giudici di secondo grado specificavano che si trattava di delibere che, con riferimento ad una specifica occasione, “una tantum”, avevano portato deroga ai criteri di ripartizione delle spese indicati nel regolamento condominiale contrattuale.

Poiché la vicenda approdava in Cassazione, quest'ultima, dando torto ai ricorrenti, precisava che, nel caso esaminato, le impugnate deliberazioni erano da ritenersi annullabili e non nulle, dal momento che non avevano modificato, “pur per il futuro”, il generale criterio - “per inerenza al corpo di fabbrica” - di ripartizione delle spese previsto dal regolamento condominiale contrattuale, bensì vi avevano portato deroga “una tantum”, vale a dire nella singola circostanza del risanamento della facciata delle palazzine “A” e “B”.

Il ragionamento della Suprema corte

Secondo gli ermellini, «in tema di condominio degli edifici, l’azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell’articolo 1137 Codice civile (come modificato dall’articolo 15 della legge 220/2012), mentre la categoria della nullità ha un’estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico - quest’ultima da valutarsi in relazione al “difetto assoluto di attribuzioni” - contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico o al buon costume; pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’articolo 1135, n. 2) e n. 3), Codice civile , mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condòmini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’articolo 1137, 2° comma,Codice civile ».

Altresì, i giudici di piazza Cavour ribadivano consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «Sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condòmini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione ma in violazione degli stessi».Pertanto, in virtù dei suddetti principi, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso.

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