Condominio

Odori e rumori molesti, il giudice può imporre di limitare il numero di animali presenti nell’abitazione

Quando risultano in eccesso infatti viene meno l’uso ordinario per civile abitazione configurandosi un ’attività di custodia e cura degli stessi

di Giulio Benedetti e Annarita D’Ambrosio


L'articolo 1138 Codice civile afferma che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o di detenere animali domestici di compagnia, tuttavia è indubbio che la coabitazione con gli umani non sempre è agevole e Cassazione è intervenuta su questa materia più volte.

La riduzione del numero degli animali nella singola proprietà

La corte di Cassazione (ordinanza 1823/2023) ha respinto il ricorso nei confronti della sentenza della Corte di appello la quale aveva confermato la condanna di un soggetto a detenere, all'interno della sua proprietà, non più di sei cani e a risarcire il danno cagionato ai vicini per la sussistenza di rumori e di cattivo odore cagionati dalla presenza di un numero notevole di cani e di gatti. Interessante il ragionamento della Suprema corte che innanzitutto precisava che «il ricovero di un numero elevato di esemplari di animali genera un'immissione che non è generata da un uso ordinario per civile abitazione, bensì è un’attività di custodia e cura degli animali di competenza del Tribunale e non del Giudice di pace». Non rileva - precisano i supremi giudici - il carattere non commerciale dell'attività, desumibile dall'assenza dello scopo di lucro.

Quanto alla prova del superamento della normale tollerabilità, si precisa che è ammissibile anche la prova testimoniale, non solo il dato eminentemente tecnico, quando la stessa ha ad oggetto fatti caduti sotto la diretta percezione del testimone e non costituisce una soggettiva valutazione. Nel caso in esame perciò il giudice ben poteva per fare cessare le immissioni moleste ordinare l'adozione di accorgimenti concretamente idonei a eliminare la situazione pregiudizievole, come ridurre al numero di sei gli animali custoditi dal ricorrente.

Il risarcimento

Il giudice può liquidare il danno causato dalle immissioni rumorose in via equitativa, sulla base della prova fornita dal danneggiato anche con presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza, senza che sia necessaria la dimostrazione di un mutamento delle abitudini di vita (Cassazione 11930/2022) liquidando a favore del danneggiato anche il danno non patrimoniale, consistente nella lesione del diritto al normale svolgimento della vita famigliare all'interno della sua abitazione, tutelato anche dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani (Cassazione Sezioni unite 2611/2017; ordinanza 21649/2021).

Gli animali rumorosi possono essere oggetto di sequestro preventivo

La Suprema corte (sentenza 54531/2016) ha respinto il ricorso avverso il sequestro preventivo di cani all'interno di un condominio. Il sequestro preventivo dei predetti animali era stato giustificato per la violazione degli articoli 674 e 659 Codice penale in quanto, secondo un esposto dei vicini, gli stessi erano tenuti in cattive condizioni igieniche (tanto che la loro proprietaria era stata condannata in primo grado per la violazione degli stessi reati commessi fino al 2012) e continuavano ad abbaiare. La Corte ha affermato che per la giurisprudenza prevalente gli animali sono considerati «assimilabili – secondo i principi civilistici – alla res, alla cosa, anche ai fini della legge processuale, e, pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo».

Inoltre, la condotta dei cani, in relazione alla produzione di rumore, può integrare il reato di cui all'articolo 659 Codice penale in quanto la predetta norma impone ai padroni degli animali di “impedirne lo strepito” e quindi non sussiste, al fine di giustificare la condotta negligente del padrone, un istinto insopprimibile del cane. La Cassazione richiama la precedente giurisprudenza per cui integrare il reato di cui all'articolo 659 Codice penale, è sufficiente l'idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non è necessario che disturbi le medesime. Nel caso trattato è configurabile, da parte del proprietario degli animali, anche la violazione dell'articolo 674 Codice penale, poiché il reato è ravvisabile qualora le emissioni moleste olfattive superino il limite di tollerabilità previsto dall'articolo 844 Codice civile.

Il ricorso a testimoni

Inoltre, la Corte afferma che il predetto reato non richiede che la condotta dell'indagato abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonee a molestare le persone. Per affermare la sussistenza del reato e l'esistenza e la non tollerabilità delle emissioni il giudice può basarsi sulle dichiarazioni dei testimoni «specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizio di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiarati».

La Cassazione nello stabilire i predetti principi di diritto, per quanto riguarda la sussistenza dell'articolo 674 Codice penale, ha richiamato una fattispecie identica in cui l'imputato che, non avendo provveduto ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i cani e del cortile circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato esalazioni maleodoranti in grado di arrecare molestie ai condòmini confinanti.


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