Risarcibile il danno biologico derivante da immissioni moleste anche se non provato documentalmente
Fumi e odori fastidiosi sono considerati elementi che possono limitare il regolare corso della routine quotidiana di chi li subisce, imponendo un forzato cambio di abitudini
Con l’ordinanza 20096/2023 , la Cassazione ha ribadito che le immissioni moleste (siano esse olfattive o sonore) determinano un danno non patrimoniale risarcibile di per sé, che non necessita di specifica prova documentale, del tutto diverso da quello derivante dalla lesione del diritto alla salute e autonomamente qualificabile come danno al normale svolgimento della vita personale, relazionale e familiare.
I fatti di causa
Con atto di citazione ritualmente notificato, alcuni condòmini residenti in un fabbricato prevalentemente residenziale convenivano in giudizio i proprietari e i gestori della pizzeria ubicata al piano terra dello stabile, lamentando l’intollerabilità dei rumori provenienti dal locale, l’esalazione di odori sgradevoli, nonché la realizzazione di opere illegittime, tra cui una canna fumaria allocata sulla facciata comune senza l’acquisizione del preventivo parere favorevole dell’assemblea dei condòmini, in aperta violazione della relativa previsione contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale. Gli attori chiedevano, pertanto, l’accertamento della fondatezza delle loro doglianze, l’adozione dei provvedimenti necessari alla cessazione immediata delle molestie e la condanna, in solido, dei convenuti al pagamento di un congruo indennizzo.
Dopo pochi giorni dall’introduzione della causa di merito, attesa l’assoluta urgenza del caso e l’impossibilità di attendere la fine del giudizio a cognizione ordinaria, gli stessi proponevano ricorso d’urgenza, ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile, con evidenti finalità anticipatorie rispetto alla sentenza di merito.Tanto il ricorso d’urgenza quanto entrambi i susseguenti gradi di giudizio davanti al Tribunale di Treviso prima e alla Corte d’appello di Venezia poi, si concludevano con l’accoglimento integrale delle domande (anche cautelari) spiegate dagli attori. Di conseguenza, i soccombenti, costituti in tutti i tre precedenti procedimenti, proponevano ricorso per la Cassazione della sentenza 1600/2016 della Corte distrettuale di Venezia.
La decisione della Cassazione
Risolte alcune questioni strettamente processuali, sulla base dell’applicazione al caso specifico del principio della doppia conforme (che ricorre quando ci si trova in presenza di sentenza di primo e secondo grado contenenti uguali valutazioni giuridiche del fatto), la Suprema corte preliminarmente dichiara inammissibili alcune delle censure mosse dai ricorrenti. Riguardo all’esame della materia relativa alla risarcibilità del danno da immissioni illecite, il collegio richiama l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità. E afferma, testualmente, un preciso principio di diritto «l’assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni» (Cassazione, Sezioni unite, 2611/2017).
Più semplicemente, il fatto che non sia stata fornita (o raggiunta) la prova della sussistenza di un danno alla salute conseguente all’esposizione a rumori (o fumi) molesti accertati, non impedisce che sia risarcito il danno di natura non patrimoniale che quelle immissioni hanno determinato, incidendo in senso negativo e deteriore sulla qualità della vita e sulle abitudini delle persone che le subiscono, essendo tali beni immateriali oggetto di tutela costituzionale.
La possibilità di ricorrere alla prova presuntiva
La prova del peggioramento, da intendersi come limitativo della libertà personale e impeditivo di una piena esplicazione della personalità del danneggiato, spesso costretto dalle immissioni moleste a modificare le proprie abitudini e il proprio stile di vita, con buona pace del principio dell’inviolabilità e della sacralità delle mura domestiche, può essere fornita, secondo la Cassazione, anche per presunzioni, sulla base di principi di comune esperienza. Allo stesso modo, e in applicazione di analoghi principi, deve ritenersi ammissibile, per gli ermellini, la liquidazione in via equitativa di questo tipo di pretesa risarcitoria. Ricorso rigettato, dunque, e condanna dei ricorrenti alle spese di lite del terzo grado di giudizio, oltre che al versamento dell’ulteriore importo pari a quello dovuto a titolo di contributo unificato.