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Riscaldamento, legittima la «quota fissa» in condominio

L'Ordinanza della Cassazione 28282/2019 esclude che le spese di riscaldamento possano essere suddivise in parte secondo i consumi rilevati e in parte in base ai costi fissi. Ma non è proprio così

di Francesco Glaviano


Secondo alcune interpretazioni, l'Ordinanza della Cassazione n.28282/2019 esclude che le spese di riscaldamento possano essere suddivise in parte secondo i consumi rilevati e in parte in base ai costi fissi (dispersioni, energia elettrica e manutenzione della centrale termica, costo delle letture, pulizia camino etc). In realtà non è proprio così.

La vicenda
La vicenda nasce da una delibera condominiale del settembre 2012 (2 anni prima del recepimento della Direttiva 2012/27 che ha regolamentato la materia della contabilizzazione) che ripartiva le spese al 50% in base al consumo conteggiato e per il 50% in base alla tabella millesimale.

Un condomino impugnò la delibera ritenendola in contrasto con la Delibera n.IX/2601 del 2011 della Regione Lombardia, secondo la quale nei condomìni dotati di sistemi di contabilizzazione del calore la quota da suddividere in base ai millesimi doveva riguardare solo la spesa generale di manutenzione dell'impianto e la quota legata alla dispersione termica.

Secondo la Cassazione non va applicata la Delibera della Giunta Regionale, perché è un atto amministrativo, ma la legge vigente all'epoca della delibera (legge 10/1991, art.25, comma 5). Quella legge, dice la Cassazione, “impone la suddivisione in base al consumo effettivamente registrato” se c'è contabilizzazione, in caso contrario, si deve ricorrere alle tabelle millesimali.

La Suprema Corte conclude enunciando poi il principio di diritto secondo cui è illegittima la suddivisione operata, anche in parte, sui valori millesimali delle singole unità abitative.

Ma questo principio è in linea con la normativa comunitaria e nazionale vigente dopo il recepimento della Direttiva 2012/27 con i D.Lgs 102/2014-modificato dal D.Lgs 141/2016? Vediamo.

Le norme Ue
La Direttiva 27 del 2012, modificata dalla Direttiva 2018/2002 in fase di recepimento, prevede all'articolo 10 l'obbligo di fatturazione basata sul consumo effettivo o sulla lettura dei contabilizzatori di calore.

La Commissione Europea, nella Raccomandazione 2019/1660, ha spiegato che questo obbligo non significa che ci si debba basare solo sulla lettura dei dispositivi, per gli ovvi motivi richiamati anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Con la sentenza del 5 dicembre 2019 ( sulle cause riunite EVN Bulgaria Toplofikatsia C-708/17 e C-725/17 ), la Corte ha rilevato che appare difficilmente concepibile poter interamente individualizzare la fatturazione relativa al riscaldamento negli immobili in regime di condominio, in particolare per quanto attiene all'impianto interno ed alle parti comuni, considerato che i singoli appartamenti di tali immobili non sono indipendenti l'uno dall'altro sul piano termico, poiché il calore circola tra le unità riscaldate e quelle che lo sono in misura minore o non lo sono affatto.

Quindi, una ripartizione basata solo sul consumo indurrebbe taluni occupanti (es. quelli degli appartamenti situati al centro dell'immobile) a chiudere i propri radiatori e a dipendere dal calore proveniente dai loro vicini che avrebbero invece costi supplementari. Inoltre, in alcuni casi, ci sono apporti di calore gratuiti dovuti “all'impianto interno”.

La quota fissa si giustifica per il fatto che una parte del riscaldamento utilizzato nell'immobile non dipende dal comportamento di ciascuno dei suoi occupanti.

La maggior parte degli Stati membri ha optato per un metodo che prevede di ripartire una percentuale del consumo totale (tra il 30 e il 50%) in base ai metri cubi o metri quadri di ciascun appartamento, mentre la restante percentuale viene suddivisa in base ai consumi effettivi.

Interpretazione erronea
È un errore ritenere che la Cassazione possa considerare inapplicabile l'art.9, comma 5, lettera D del Dlgs 102/2014 come modificato dal Dlgs 141/2016 e dal Dlgs 244/2016. In base alla versione definitiva di tale articolo, si ricorre alla norma tecnica UNI10200 , che prevede una quota basata sul consumo rilevato dai dispositivi di contabilizzazione e una quota fissa in base ai millesimi di fabbisogno.

Si può derogare alla UNI 10200 se una perizia tecnica asseverata dimostra che tra le unità immobiliari c'è una differenza di fabbisogno termico del 50%. In questo caso la quota da calcolare in base ai consumi rilevati è almeno del 70%, e la parte rimanente sarà la quota fissa. Queste disposizioni sono facoltative per chi usava la contabilizzazione alla data del 26 luglio 2016, quando è entrato in vigore il Dlgs 141/2016.

Contabilizzazione legittima
Pertanto se ne deduce che la normativa vigente ha pienamente legittimato la contabilizzazione con quota fissa che veniva praticata anche prima della sua entrata in vigore. In conclusione le norme nazionali ed europee e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea stabiliscono che le spese di riscaldamento si devono ripartire con una quota per i prelievi volontari, cioè i consumi rilevati, e una quota per i costi fissi.

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