Servizi igienici comuni tra due abitazioni, divisibili solo se non risulti danneggiato uno dei due proprietari
Il principio da applicare è quello della comoda divisibilità
Una lite tra comproprietari per un WC in comune fa da sfondo all'ultima decisione della Cassazione, improntata sulla distinzione tra comunione e condominio, per come definita dalla ordinanza 19356 del 16 giugno 2022 . Nello specifico si trattava della divisione di un vano wc sito al secondo piano di un edificio condominiale in stato di comproprietà e funzionale a due diversi immobili posti in rispettiva proprietà esclusiva.
I fatti di causa
Perviene all’attenzione della Suprema corte una sentenza di merito della Corte di appello torinese con un doppio motivo di decisione riguardanti la reiezione della richiesta di divisione di un vano latrina. Ambedue le decisioni assunte dal giudice di merito sono state ritenute degne di note e corrette.La prima – in ragione del richiamato e riflesso istituto della comunione – in funzione del richiamo temporale e soggettivo all'articolo 1111, comma II Codice civile, a mente del quale: «Il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni è valido e ha effetto anche per gli aventi causa dai partecipanti. Se è stato stipulato per un termine maggiore, questo si riduce a dieci anni».
La seconda – in ragione del richiamato e riflesso istituto del condominio negli edifici – in funzione del richiamo oggettivo al rapporto di accessorietà sussistente tra il vano latrina anzidetto e i due immobili diversi di cui sono titolari i comproprietari in lite, da cui il richiamo all'articolo 1119 Codice civile (il quale così recita: «Le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio»).
Conclusione
Il giudice di legittimità, in quanto tale, ha avallato la tesi della corte di merito che aveva ravvisato tra cose comuni e proprietà esclusive delle singole unità immobiliari del complesso in considerazione quel rapporto di accessorietà necessaria che costituisce il fondamento della condominialità a norma dell’articolo 1117 Codice civile al cospetto vano per cui è causa (tanto, neppure ravvisando espressa censura sull'accertamento compiuto dai giudici del merito in ordine alla qualificazione del contesto proprietario come condominio edilizio e non semplice comunione).
In quanto tale, è stato ritenuto corretto il richiamo operato dalla corte di merito, per la fattispecie in considerazione, all'articolo 1119 Codice civile - che tutela il mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva - piuttosto che agli articoli 1112 e 1114 Codice civile, i quali, rispettivamente, tutelano soltanto il limite della destinazione d’uso del bene e propendono altrimenti per la comoda divisibilità.
La condominialità del bene
Di rilievo, infine, l'assunto di matrice sostanziale e processualistica sull'esatto bilanciamento dell'onere della prova, parimenti contenuto nel provvedimento in esame.A tal riguardo, è stato precisato che l'accertamento sul fatto che un dato bene (nella fattispecie un vano latrina) costituisca, o meno, opera destinata all'uso comune, ai sensi dell'articolo 1117, numero 3, Codice civile, in virtù della sua naturale destinazione o della sua connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell’edificio, si deve compiere richiamando gli atti sorti al momento della nascita del condominio e non già con riguardo a quelli dell'attualità, in virtù di una disamina di valore postumo.
Logico corollario dell'assunto appena reso è quello per cui: chiunque, in casi analoghi a quello trattato, abbia l'intento di voler superare eventualmente la “presunzione di condominialità”, è tenuto ad indicare quel determinato titolo che aveva dato luogo alla formazione del condominio stesso per effetto del primo frazionamento del complesso in proprietà individuali.