Sgombero: appropriazione indebita del locatore se la sottrazione di beni è massiccia
In questo caso per la Cassazione il reato si consuma anche se il conduttore non dà prova specifica di quali beni siano stati sottratti
Una proprietaria aveva chiesto e ottenuto lo sfratto di due conduttori, morosi nel pagamento dei canoni di locazione, provvedendo poi allo sgombero dei locali.
I conduttori, tuttavia, avevano lamentato l'asportazione di diversi beni di loro proprietà ed avevano provveduto a denunciare la proprietaria per appropriazione indebita. Il Tribunale aveva condannato la proprietaria, che aveva poi appellato la decisione.
L’attendibilità dell’accusa
La Corte d'appello, in riforma della precedente sentenza, aveva invece assolto la proprietaria sulla base delle seguenti valutazioni. Secondo i giudici, infatti, i proprietari non avevano fornito inventari, prove fotografiche o altri elementi decisivi a identificare i beni sottratti.Le parti, poi, non risultavano credibili in quanto, a seguito dello sgombero, avevano fatto svariati accessi nell'immobile e avevano descritto in maniera piuttosto generica i beni sottratti.In occasione dei suddetti accessi, poi, i conduttori erano entrati nell'appartamento con pubblici ufficiali, senza che questi fossero informati sulla mancanza di alcun bene, a riprova della presunta scarsa attendibilità dei conduttori.
Il ricorso alla Suprema corte
I suddetti, costituiti parti civili nel processo penale, impugnavano quindi la decisione d'appello in sede di Cassazione. In data 19 aprile 2021 la sesta sezione penale della Cassazione depositava la sentenza numero 14586 con la quale rigettava l'interpretazione fornita dalla Corte d'appello e cassava la relativa sentenza.Secondo gli ermellini, infatti, i giudici di appello si erano unilateralmente e apoditticamente distaccati dalla sentenza di primo grado.Questa, infatti, aveva svolto una dettagliata istruttoria, giungendo alla decisione di condannare l'imputata per l'appropriazione indebita dei beni delle parti civili.
Secondo i giudici della Cassazione, tuttavia, la Corte d'appello – senza rinnovare in alcun modo l'istruttoria – aveva semplicemente deciso di disattendere le prove del primo giudizio.Tale facoltà, che era invero concessa alla Corte d'appello, non poteva però prescindere da «una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarata decisiva» (Cassazione sezioni Unite, 21 dicembre 2017, numero 14800, citata nella sentenza in commento).
L’asportazione di beni
Le prove raccolte e valutate dal giudice di prime cure, quindi, potevano ben essere disattese dal giudice d'appello, ma non senza una specifica giustificazione.La sentenza d'appello, invece, a detta della Cassazione, si era limitata ad una lettura differente del materiale istruttorio, carente di qualsiasi indicazione in merito alla decisività delle prove.La Corte d'appello aveva immotivatamente valorizzato solo l'assenza di prova puntuale sui beni asportati, non valutando che – ai fini della consumazione della condotta delittuosa dell'appropriazione indebita – era anche sufficiente l'asportazione di beni generici senza la necessità della prova puntuale della mancanza di beni specifici.
Secondo la Cassazione, tuttavia, nel caso in questione l'asportazione di oggetti era stato tanto massiva da non necessitare l'indicazione precisa di tutti i beni, essendo quindi indiscutibile la colpevolezza della proprietaria.In ragione di tale valutazione, quindi, la Cassazione accoglieva il ricorso e – annullata la sentenza impugnata – rinviava il giudizio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, rimettendo a tale ufficio anche la valutazione in merito alle spese legali.