Condominio

Stalking condominiale, pedinare il vicino non costituisce un fatto lieve

La causa di non punibilità per tenuità non è applicabile, trattandosi di una condotta sistematica e reiterata

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di Giulio Benedetti

L’articolo 612 bis del Codice penale è utilizzato per combattere il fenomeno dello stalking condominiale che tutela la libertà morale della persona e ha ad oggetto le condotte reiterate di minaccia e di molestia che determinano nella vittima alternativamente un perdurante e grave stato di ansia e di paura, un fondato timore per la propria incolumità o per quella di una persona comunque affettivamente legata e la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita (Cassazione, sentenza 11945/2010). Quindi, per atti molesti si intendono quelli «forieri di alterazione della serenità e dell’equilibrio nella minore, in quanto diretti a forzare la sua attenzione e a stringere con lei un rapporto, percepito come anomalo e pericoloso dalla destinataria». La caratteristica del delitto di atti persecutori è di essere «reato ad evento di danno» e di distinguersi sotto questo profilo dal reato di minacce, che è reato di pericolo (Cassazione, sentenza 17698/2010).

Un caso di stalking condominiale nel repertorio giurisprudenziale

In passato, la Cassazione (sentenza 24590/2021) si è occupata dell’ipotesi di stalking condominiale in cui due soggetti erano stati condannati per aver provocato nei vicini un grave stato di ansia e di paura, il fondato timore per la loro incolumità e un forzato cambiamento delle abitudini di vita, con reiterate minacce, insulti verbali e figurati, aggressioni, cartelli diffamatori e diverse angherie di vicinato (spargimento di spazzatura, versamento di acido sul bucato, danneggiamenti sull’autovettura). I condannati ricorrevano in Cassazione, lamentando l’ingiustizia della sentenza di condanna, e ne chiedevano l’annullamento affermando che il reato era prescritto, sostenendo l’assenza di una prova decisiva idonea a condannarli e della volontà di alterare le abitudini di vita, poiché era a loro sconosciuto lo stato di salute precario della parte lesa per una malattia cardiaca.

Gli ermellini dichiaravano inammissibile il ricorso. A detta della Corte, la sentenza di appello era ben motivata, si basava sulle prove fotografiche e testimoniali già assunte nel giudizio di primo grado, che dimostravano l’esistenza, da parte dei ricorrenti, di un’ostilità deliberata e immotivata, generata dal fatto che gli imputati soffrivano la condivisione di spazi comuni dell’edificio con chiunque, disagio evidentemente manifestato con la speranza di costringere i vicini ad abbandonare la comune abitazione. La gravità dell’esasperazione ansiosa e del timore che negli anni avevano pervaso le parti offese era testimoniata dall’assunzione di una guardia del corpo, sopportandone i costi per il timore di azioni ancora più gravi dei continui insulti, lanci di oggetti e immondizia nella loro proprietà, danneggiamenti, tentativi di ostacolo nelle parti comuni e vere e proprie aggressioni fisiche e minacce. In un’occasione le stesse erano state attuate dagli imputati con l’uso di cesoie da giardino con cui erano soliti tagliare le piante di proprietà delle vittime.

Verificare le dichiarazioni della parte lesa con un esame rigoroso

L’attendibilità delle dichiarazioni delle parti offese è stata vagliata dai giudici di merito, tenendo presente gli altri elementi di prova: in particolare, la testimonianza della domestica della coppia di vittime, la quale ha assistito a molte delle condotte criminali poste in essere dai ricorrenti a danno dei suoi datori di lavoro. Le Sezioni unite hanno chiarito che le regole dettate per le prove testimoniali dall’articolo 192 del Codice di procedura penale non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa che possono essere messe a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, previa la verifica della loro attendibilità attraverso un più penetrante e rigoroso esame rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi altro testimone (Cassazione, sentenza 41461/2021).

Quando il reato si scontra con una patologia

La Cassazione concludeva che la sentenza di appello, con ampia motivazione, ricostruiva, nelle parti offese, l’esistenza di uno stato di paura e di ansia, il timore fondato per la propria incolumità, il mutamento delle abitudini di vita, che compongono gli eventi alternativi del reato dell’articolo 612 bis del Codice penale, ricavabili dalle molteplici dichiarazioni testimoniali e dagli stessi comportamenti delle vittime del reato, conseguenti alla condotta degli autori del reato. In verità, per tale situazione cagionata dagli imputati, le parti offese cambiavano il loro stile di vita soffrendo: assumevano una guardia del corpo e si vergognavano di ricevere ospiti in quelle situazioni di disagio. Se una delle vittime doveva uscire di casa, doveva essere sempre accompagnata da qualcuno, essendo anche cardiopatica, e la patologia tendeva spesso ad aggravarsi per lo stress provocato dagli imputati alla sua vita famigliare.

L’ammonimento presso il questore

Infine, integra il reato la condotta di chi non solo compia angheria da vicinato ma anche aggressioni e minacce, tali da provocare l’intervento delle forze dell’ordine (Cassazione, 322/2022). Gli eventi dell’illecito consistono nella modifica delle abitudini di vita al punto da optare per il cambio di abitazione. Nel caso in cui un condòmino arrivi a denunciare un caso di stalking nell’edificio, l’amministratore deve invitarlo a rivolgersi alla competente Questura, poiché è prevista una procedura amministrativa per cui la persona offesa, fino a quando non propone querela per il reato, può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta vietata (articolo 8 della legge 38/2009). In tal caso il questore, assunte se necessario le informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, qualora ritenga fondata l’istanza, ammonisce il soggetto, lo invita a tenere una condotta conforme alla legge e redige un processo verbale che è consegnato al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito.

Il questore valuta, inoltre, l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e di munizioni e la pena di cui all’articolo 612 bis del Codice penale, consistente nella reclusione da sei mesi a cinque anni, aumenta se il fatto è commesso da un soggetto già ammonito.

La sistematicità invalida la causa di non punibilità

Con la sentenza 49269/2022 , la Cassazione ha rigettato il ricorso di un soggetto che era stato riconosciuto responsabile del reato di molestia (articolo 660 del Codice penale) nei confronti del vicino di casa per averlo pedinato, fotografato, averne intralciato il tragitto quando lo incontrava per strada e per avergli rivolto occhiatacce e borbottii. Tra i motivi di ricorso , respinti in quanto consistevano nella riproposizione nel giudizio di legittimità di argomenti già decisi nel giudizio di merito, vi era quello che alla condotta del ricorrente fosse applicabile la causa di non punibilità per tenuità del fatto (articolo 131 bis del Codice penale). La Suprema corte respingeva questo motivo di ricorso poiché, qualora il reato di cui all’articolo 660 del Codice penale consista in una condotta reiterata, come avviene nel caso di un pedinamento, non è necessaria una motivazione sull’esclusione della causa di non punibilità ex articolo 131 bis del Codice penale (Cassazione, 1523/2018). Tale causa non è ammessa quando il comportamento è abituale, come avviene nel caso di condotte sistematiche.

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