Trasformare i negozi in garages non espone il condominio a immissioni moleste o incendi
Anche se il regolamento espressamente vieta di destinare locali a depositi di materie infiammabili, esplodenti, o fonti di esalazioni nocive
La trasformazione di locali commerciali di un edificio condominiale in garages al centro dell’ ordinanza della Cassazione 17159/2022 depositata il 26 maggio. La lite tra i condòmini era sorta relativamente al rispetto dei divieti imposti dal regolamento contrattuale alla proprietà privata. Secondo i ricorrenti il cambio di destinazione d’uso dei locali piano terra era da intendersi in contrasto con gli articoli 6,7 e 9 del regolamento redatto dall’originario costruttore e riportato nei rogiti di acquisto dei singoli appartamenti. Inoltre l’ingresso di vetture era causa di intollerabili immissioni a danno della loro proprietà e dalle modifiche era altresì derivata una lesione del decoro architettonico dell'edificio.
Il ragionamento della Cassazione
Per la Suprema corte dalla lettura degli articoli regolamentari non poteva desumersi un divieto di utilizzo dei locali come autorimesse, e neppure risultava violato l'articolo 9 del regolamento quanto al danneggiamento della statica dell'edific i o. Da condividere perciò la pronuncia della Corte d’appello che aveva ritenuto legittima la trasformazione in garages dei locali in questione. Anche il tema delle immissioni moleste, peraltro non rilevato nei giudizi di merito, non era stato sufficientemente provato.
Sostengono inoltre i ricorrenti che le autovetture sono in grado di sprigionare esalazioni nocive ed incendiarsi ed esplodere «da sole, senza una causa apparente»: ne ricavano che ai sensi dell'articolo 7 del regolamento, che vieta di «destinare locali a depositi di materie infiammabili, esplodenti, maleodoranti o fonti di polvere o esalazioni nocive», deve ritenersi preclusa la possibilità di adibire ad autorimessa i suddetti locali. Motivo infondato per i giudici di legittimità.
Le limitazioni alla proprietà privata previste nel regolamento
È noto - scrive la Cassazione - che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all'interno delle unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione (Cassazione 23/2004; Cassazione 5626/2002; Cassazione 4963/2001; Cassazione 49/1992; Cassazione 4554/1986; Cassazione 6769/2018).
Ebbene, nel caso in esame, l’adesione c’era stata e i giudici del merito avevano anche accertato che tutte le unità immobiliari oggetto di trasformazione furono autorizzate da concessione edilizia. Richiamo quindi dei giudici di Cassazione alla chiarezza letterale delle previsioni regolamentarie. L’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, enunciati in modo chiaro ed esplicito, è sindacabile in sede di legittimità - chiosano - solo l’omesso esame di fatto storico decisivo, che in questo caso, non era riscontrabile. ( tra le altre Cassazione 14460/2011; Cassazione 17893/2009,; Cassazione 1406/2007).