Condominio

Uso più intenso del bene comune sempre lecito entro i limiti fissati dal Codice, doveroso in caso di disabilità

Spesso infatti, come nel caso esaminato dal Tribunale di Roma, è quell’uso più comodo della cosa comune che abbatte le barriere architettoniche

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di Ivana Consolo

Alcuni interrogativi sono più ricorrenti di altri all’interno delle compagini condominiali.
Non è raro, difatti, imbattersi in controversie giudiziarie che scaturiscono dalla difficoltà dei condòmini, ma anche degli stessi amministratori di condominio, nel dare risposta ai seguenti quesiti:
• fino a che punto si può esercitare un maggiore o più comodo utilizzo dei beni comuni?
• è sempre consentito, o ci sono casi in cui appare illegittimo?
• ma soprattutto, una condizione personale di fragilità, rientra nei casi che rendono pacificamente lecito il godimento più intenso della cosa comune?
La vicenda che andremo ad esaminare, conduce ad una pronuncia del Tribunale di Roma (sentenza numero 5313 del 3 aprile 2023) che bene esplicita la corretta lettura dell’articolo 1102 del nostro Codice civile.

I fatti di causa

Un condòmino proprietario di un box auto sito nel fabbricato condominiale, esercitava da sempre il suo possesso sull’area di uscita evidenziata dalla presenza di un cancelletto di ingresso pedonale. Per il tramite di tale agevole varco, il condòmino raggiungeva il box dalla sua abitazione (e viceversa) riducendo di circa 220 metri il percorso necessario. Tale ultima precisazione, non è cosa di poco conto; difatti, il condòmino era persona ipovedente con un riconoscimento di invalidità superiore all’85%.Accadeva però che il condominio si determinasse a sostituire la serratura del cancelletto senza che, successivamente all’intervento in parola, l’amministratore consegnasse la nuova chiave al condòmino disabile.

Come si può ben comprendere, dal momento in cui il condòmino si è ritrovato sprovvisto della chiave, il percorso per raggiungere l’ingresso del box auto diventava per lui decisamente più difficoltoso.Il netto rifiuto opposto dall’amministratore di condominio alla richiesta della chiave da parte del condòmino, si basava sull’assunto della contrarietà di alcuni altri condòmini all’utilizzo dell’accesso da parte di chi non avesse l’unità abitativa collocata in alcune delle scale di cui si componeva il fabbricato. Non potendo tollerare un tale abuso, ed esasperato dalle difficoltà collegate alla propria condizione personale, il condòmino privato delle chiavi si determinava ad agire in via giudiziaria.

Il contenuto della citazione del condomino

Veniva quindi depositato, presso il Tribunale ordinario, un formale atto di citazione con cui si chiedeva di accertare e dichiarare l’esistenza del diritto all’utilizzo del cancelletto di ingresso pedonale, con condanna del condominio a porre fine agli impedimenti all’esercizio dello stesso, nonché alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi con tanto di consegna della chiave del cancello. Si costituiva in giudizio il condominio, che adduceva le seguenti argomentazioni difensive:
–il cancelletto di ingresso pedonale non rientrava nell’elenco dei numeri civici del condominio attraverso i quali si può accedere all’interno degli spazi condominiali, e non era mai stato destinato ad accesso pedonale;
–in seguito alla sostituzione della serratura, l’amministratore, in accordo con i consiglieri di alcune scale del fabbricato, aveva ritenuto di non distribuire ad alcun condòmino la chiave del cancelletto;
–il percorso cui si accedeva attraverso il cancelletto era di esclusiva pertinenza (con esclusivo addebito delle relative spese di manutenzione) dei condòmini di talune scale del fabbricato, i quali erano gli unici ad aver diritto a transitarvi;
–il passaggio dal cancelletto non dava accesso diretto ai box auto, in quanto si doveva comunque uscire dal complesso condominiale.

La decisione del Tribunale

Ad essere investito della controversia, è il Tribunale di Roma, che disponeva Ctu atta a descrivere (con foto e planimetria) lo stato dei luoghi, per consentire di verificare se il vialetto rientrasse tra le proprietà comuni e, in tal caso, se fosse possibile l’uso più intenso da parte del condòmino attore senza pregiudicare il pari diritto degli altri condòmini. Anzitutto, viene esaminato il dettato dell’articolo 1102 comma 1 del Codice civile, il quale stabilisce espressamente che ciascun partecipante alla cosa comune può servirsi della stessa purché non ne alteri la destinazione, e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.È di tutta evidenza che i due limiti fondamentali all’uso della cosa comune sono:
- il divieto di alterarne la destinazione;
- il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso.

Il concetto di pari uso

L’attenzione deve essere interamente posta alla nozione di pari uso, che non va intesa in senso di uso identico e contemporaneo da parte di tutti i compartecipanti. Difatti, la legge riconosce a ciascun condòmino il diritto ad una più intensa utilizzazione a condizione che sia compatibile con i diritti degli altri.Ma come si fa a stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenersi consentito?Ebbene, richiamandosi a costante Cassazione, i giudici precisano ed evidenziano che non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condòmini in un determinato momento; ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.

Venendo al caso di specie, l’attore ha chiesto che venisse accertato il proprio diritto all’utilizzo del cancelletto di ingresso pedonale in quanto proprietario del box auto. Dalla documentazione versata in atti, e dagli esiti dell’indagine espletata dal perito, si evince che l’ingresso è posto a servizio dell’intero complesso condominiale, non risultando che vi sia una struttura del tutto separata dal resto dello stesso di cui siano pertinenza esclusiva il cancelletto, e quindi il relativo accesso. L’interesse dell’attore all’utilizzo del varco in parola, sorge automaticamente in virtù della situazione proprietaria. Tale circostanza non è stata contestata dal condominio, che non ha neppure dato prova del superamento dei limiti posti dall’articolo 1102 del Codice civile.

Uso più intenso per abbattere le barriere architettoniche

Ne deriva che non può essere impedito all’attore l’utilizzo del cancelletto, in quanto l’uso legittimo della cosa comune incorpora la nozione di uso più comodo, che nella fattispecie si traduce nella riduzione del percorso tra l’autorimessa e l’abitazione del condòmino. A fugare ogni dubbio circa la totale fondatezza della pretesa attorea, sarebbe sufficiente la disamina sin qui svolta. Ma vi è un altro elemento da aggiungere, e non è di poco conto.Fin dall’inizio si è detto che parte attrice fosse persona disabile con un’invalidità all’85%.L’utilizzo più intenso del cancelletto, costituisce di fatto una sorta di abbattimento delle barriere architettoniche, in quanto agevola di molto il disabile nella fruizione dell’accesso al box auto.

In presenza di condòmini disabili, vige e prevale il cosiddetto principio di solidarietà condominiale, ribadito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità.In ossequio a tale rilevante principio, tutti i condòmini che non versino in condizione di fragilità hanno il dovere di fare tutto ciò che serve per abbattere le barriere architettoniche e, qualora fosse necessario, anche di sacrificare i propri diritti pur di agevolare il condòmino disabile nell’esercizio e nel godimento dei propri.Ecco quindi che, l’uso più intenso del bene comune, non appare semplicemente lecito in presenza dei requisiti di cui all’articolo 1102 del Codice civile, ma appare doveroso in presenza di disabilità. Alla luce di tutte le argomentazioni sin qui enucleate, la domanda di parte attrice merita di essere accolta, con la conseguente condanna del condominio alla consegna delle chiavi del cancelletto.

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