Cattiva gestione da parte dell’amministratore: come ripartire l’onere della prova
Il condominio che lamenti un infedele impiego denaro da parte dell’amministratore è tenuto a provarlo
Come spesso (a volte troppo spesso) accade, finito il rapporto professionale, si punta il dito sull'operato dell'amministratore uscente. Spesso ottimo professionista in costanza di mandato poi, improvvisamente, reo di condotte potenzialmente censurabili. Quando ciò accade, la decisione da parte del giudice appare inevitabile. Ecco che, sul punto, si colloca la sentenza del Tribunale di Roma, numero 9220 pubblicata in data 8 giugno 2023 con cui il giudice capitolino ha condannato al pagamento delle spese di lite un condominio che aveva agito nei confronti dell'ex amministratore, addebitando a quest'ultimo una responsabilità per mala gesto senza, tuttavia, fornire prova in giudizio, di quanto asserito.
La vicenda processuale
Nel caso trattato dal Tribunale di Roma, il condominio citava in giudizio l'ex amministratore, «ritenuto responsabile di irregolarità nella funzione gestoria e di rappresentanza del condominio». Secondo la ricostruzione dell'attore, infatti, la gestione irresponsabile imputata all'ex amministratore, aveva portato alla sospensione della fornitura idrica e sarebbe risultata una situazione di cassa «sottoscritta di proprio pugno nella quale veniva indicata una disponibilità di cassa di € 55.821,45 che era invece risultata inesistente non risultando tale importo né depositata sul conto condominiale né consegnato» al nuovo amministratore.
Infine, all'amministratore uscente veniva imputato di non aver reso edotti i condòmini dell'esistenza di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio ed ottenuto dal gestore della fornitura del gas, per la somma di € 22.789,57. Decreto ingiuntivo «poi divenuto definitivo per mancata opposizione», a cui seguiva altro decreto ingiuntivo 20190/2014, altrettanto definitivo, ottenuto per l'importo di € 19.812,24 dalla ditta appaltatrice dei lavori sulle facciate esterne del condominio per lavori rimasti non saldati. Costituitosi l'ex amministratore, questi eccepiva che sarebbe stato onere del condominio provare che i condòmini avevano versato le quote condominiali per consentire il pagamento dei fornitori, posto che, in difetto di versamento da parte dei condòmini, nessun rimprovero poteva essere mosso all'amministratore.
Ha quindi sostenuto che i decreti ingiuntivi specificati in citazione non avrebbero potuto essere addebitati a irregolarità gestorie dell'ex amministratore, essendo stati emessi per prestazioni di cui i condòmini avevano effettivamente beneficiato senza però che il condominio ne abbia mai versato i corrispondenti importi.Con riguardo, inoltre, alle ulteriori contestazioni, il convenuto sosteneva che, anche per noti problemi di salute, non ricordava di aver mai consegnato al nuovo amministratore e comunque sottoscritto di suo pugno la situazione di cassa del 4 luglio 2015 nella quale verrebbe indicata una disponibilità di €. 55.821,45. «Ha pertanto formalmente disconosciuto l'atto nel suo contenuto assumendo vizi nella volontà e nella firma a lei non appartenente».
L’onere della prova e la sua ripartizione
A questo punto, il Tribunale di Roma ricorda come vada ripartito l'onere della prova : il condominio che lamenti un malaccorto o, addirittura, infedele impiego del proprio denaro da parte dell’amministratore che l’abbia gestito è onerato della prova (da fornirsi attraverso tanto la contabilità - se regolarmente tenuta e approvata - e/o i versamenti eseguiti e le uscite comprovate da documenti di spesa quanto i movimenti del conto corrente) che l’esercizio in contestazione si è in realtà chiuso, non già con debiti di gestione, ma con veri e propri avanzi di cassa, o puntualmente riportati nel bilancio successivo come partite in entrata oppure sin dall’inizio fraudolentemente occultati.
Il cessato amministratore, per converso, è onerato, in quanto contrattualmente debitore, verso il condominio, della propria prestazione (anche professionale) di mandatario, della prova della corretta amministrazione e, perciò, in particolare, dell’effettivo e accorto impiego di tutte le somme riscosse per pagare le spese di volta in volta preventivate o imposte dall’urgenza (previa puntuale registrazione di ogni singolo incasso - con la relativa provenienza - e di ogni singolo esborso – in corrispondenza di adeguata documentazione giustificativa ). Onere non soddisfatto da parte del condominio che si era limitato a richiamare la copia di un atto che sarebbe stato sottoscritto (siglato) in data non precisata dall'ex amministratore, nella quale è indicata una disponibilità di cassa di € 55.821,45.
Ma, come detto, tale copia era stata disconosciuta dallo stesso ed il condominio non aveva proposto istanza di verificazione, non essendo in possesso dell'originale dell'atto.«Tale disponibilità di cassa non risulta pertanto provata» e per quanto attiene all'esposizione debitoria sopra indicata, dalla documentazione in atti, non emergeva in alcun modo che i condòmini avessero fornito la provvista per far fronte al pagamento dei corrispettivi di cui alle specifiche prestazioni oggetto delle pretese azionate dai creditori. Nessun ulteriore profilo di danno poteva essere riconosciuto «non essendo stato provato che la convenuta avesse avuto sostanziale contezza delle richieste di pagamento».
Conclusioni
La domanda – si legge in sentenza - doveva essere in ultima analisi rigettata non avendo il condominio dimostrato che le somme versate dai condòmini per la gestione del condominio non fossero state effettivamente impiegate per la gestione condominiale e fossero pertanto rimaste nella disponibilità dell'amministrazione condominiale.La sentenza ricalca l'orientamento (si veda Tribunale di Roma, sentenza 2170 del 10 febbraio 2022), a mente del quale il condominio, in generale, in quanto mandante, è onerato della prova (da fornirsi tanto attraverso la contabilità - se regolarmente tenuta e approvata - e/o i versamenti eseguiti e le uscite comprovate da documenti di spesa quanto attraverso i movimenti del conto corrente) che determinati esercizi si siano, in realtà, chiusi, non già con debiti di gestione, ma con veri e propri avanzi di cassa, o puntualmente riportati nel bilancio successivo come partite in entrata (ma, poi, a un certo punto, “dispersi” - senza una corrispondente, effettiva partita in uscita -) oppure sin dall’inizio fraudolentemente occultati. Nel caso in esame tale prova non è stata raggiunta.