Condominio tecnico: Terrazze di copertura da insonorizzare per evitare rumori molesti ai piani inferiori
Sussiste il diritto di risarcimento del danno patrimoniale per il deprezzamento degli immobili sottostanti
La normativa sull’isolamento acustico degli edifici contenuta nel Dpcm del 5 dicembre 1997 si applica a tutte le superfici delle unità immobiliari, comprese le terrazze e gli ambienti non abitabili. Quanto alle prime, rilevano la propagazione del rumore attraverso le murature su cui poggiano e si innestano e la circostanza per la quale non sono destinate solo all’affaccio, ben potendo essere altrimenti utilizzate; quanto ai secondi, invece, è determinante il fatto che costituiscano pur sempre ambienti interni alle abitazioni, come tali (potenzialmente) destinati alla permanenza (anche temporanea) delle persone. Questi i principi di diritto contenuti nell’ordinanza 5487/2023 , con la quale la Cassazione, rigettando le richieste delle società ricorrenti, ha confermato la pronuncia 903/2017 della Corte d’appello di Trieste.
Quest’ultima, condividendo la decisione del Tribunale giuliano, aveva confermato (pur limitandolo parzialmente nell’importo) il diritto delle originarie attrici (acquirenti di due unità immobiliari) a ottenere dalle imprese costruttrici/alienanti il risarcimento dei danni patrimoniali subiti, a causa del difetto di insonorizzazione degli appartamenti acquistati.
Le motivazioni del ricorso
Le due società, già soccombenti sia in primo grado che in appello, hanno proposto ricorso in Cassazione, censurando la decisione della corte distrettuale per aver ritenuto applicabili le prescrizioni tecniche in ordine ai requisiti acustici passivi degli edifici (ossia l’attitudine a non diffondere e propagare i suoni) anche alle terrazze e ai vani non abitabili. In particolare, ad avviso delle parti istanti, quanto alle terrazze, l’applicazione della normativa di settore doveva essere esclusa a causa della loro particolare conformazione, posto che esse sono costituite da spazi aperti, pacificamente esterni all’edificio e aperti su tutti i lati, mentre, invece, il Dpcm 5 dicembre 2017 sarebbe riferibile, unicamente, ai locali interni agli stabili.
Quanto, invece, ai locali non abitabili, le ricorrenti hanno sostenuto che il citato decreto sarebbe stato impropriamente richiamato, in quanto il testo della norma può essere ritenuto riferibile solo agli ambienti abitativi (vale a dire, gli ambienti interni a un edificio destinati alla permanenza delle persone), con esclusione, dunque, dei locali non abitabili.
Le valutazioni della Suprema corte
Per gli ermellini, entrambe le osservazioni non colgono nel segno e, pertanto, non meritano accoglimento. In particolare, quanto alle terrazze, la Suprema corte ha osservato che il problema dell’insonorizzazione delle stesse non è limitato e circoscritto allo spazio che le costituisce, ma è un problema più ampio che riguarda la propagazione del rumore attraverso le murature su cui appoggiano e sulle quali si innestano, essendo, dunque, del tutto irrilevante la loro apertura su tutti i lati. In assenza di adeguata insonorizzazione, infatti, e in mancanza dell’espletamento degli adempimenti tecnici necessari a garantire il rispetto dei requisiti acustici degli edifici, il rumore che si manifesta da (e su di) esse, si propaga, certamente, all’interno degli appartamenti immediatamente sottostanti. In relazione al caso concreto, aggiunge la Cassazione, la soluzione accolta dalla Corte d’appello, secondo cui i lavori di insonorizzazione avrebbero dovuto interessare anche le terrazze, appare coerente con la situazione dei luoghi e fondata su una adeguata valutazione di fatto, non sindacabile in sede di legittimità.
Con riguardo all’osservanza dei requisiti di cui al Dpcm 5 dicembre 1997 anche per i locali non abitabili, invece, precisato che, nella fattispecie esaminata, si trattava del bagno, di un ripostiglio e dei corridoi, la Cassazione evidenzia l’incongruenza che vizia il ricorso introduttivo. Se, infatti, l’adozione degli accorgimenti utili all’insonorizzazione degli ambienti tende a evitare l’esposizione delle persone a rumori tali da pregiudicarne lo svolgimento della normale attività quotidiana, non si comprende il motivo per il quale essa debba trovare applicazione non con riferimento all’unità abitativa nella sua interezza, ma solo ad alcune parti di essa.
Decisivo, al riguardo, il contenuto dell’articolo 2 del Dpcm in oggetto, il quale precisa che per ambiente abitativo deve intendersi ogni ambiente interno a un edificio, concepito per la permanenza delle persone o di comunità, e utilizzato per le diverse attività dell’uomo, con l’unica eccezione costituita dagli ambienti destinati allo svolgimento di attività produttive. La formula, concepita in maniera ampia, comprende, infatti, nell’ambito di applicazione della norma non solo gli edifici residenziali, ma anche quelli adibiti a uffici, ospedali, scuole, con la sola esenzione (quanto al rispetto della normativa sull’insonorizzazione) dei locali adibiti ad attività produttive.
I parametri del deprezzamento
Con un ultimo incisivo passaggio, poi, la Cassazione ha confermato la correttezza della valutazione operata dalla Corte d’appello anche riguardo ai parametri da utilizzare per valutare il deprezzamento commerciale degli immobili non adeguatamente insonorizzati, che devono essere individuati nel loro minor pregio, nel minor valore in caso di vendita e nel disagio economico necessario per porre rimedio agli inconvenienti causati dal mancato rispetto della normativa. Sulla base di queste considerazioni, dunque, ricorso rigettato, conferma della sentenza di secondo grado e condanna alle spese del terzo grado di giudizio per le parti soccombenti.