Condominio

Danno da perdita economica per infiltrazioni: niente risarcimento senza prove e “doppia conforme”

Il proprietario aveva subito danni da perdita della locazione per infiltrazioni provenienti dal lastrico solare condominiale

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di Ivana Consolo

Quando si ricorre alla giustizia, bisogna sapere che non basta soltanto essere “armati delle proprie ragioni”, ma occorre anche essere ossequiosi delle regole e dei principi che sorreggono e strutturano la nostra procedura. Il condòmino protagonista del caso in esame, ha potuto suo malgrado apprendere tale lezione, e lo ha fatto attraverso l' ordinanza civile numero 9363 emessa dalla sesta sezione della Cassazione in data 22 marzo ultimo scorso. Vediamo di cosa si tratta.

La causa
Il proprietario di un appartamento, aveva subito danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare dell'edificio condominiale, che versava in uno stato di cattiva manutenzione. Il nocumento lamentato dal condòmino, veniva espressamente identificato con la perdita degli introiti derivantigli da un contratto di locazione, in quanto il conduttore aveva deciso di recedere anticipatamente proprio a causa del danneggiamento subito dall'immobile.

Veniva portata la vicenda dinanzi al Tribunale e poi alla Corte d'appello di Palermo, e quest'ultima deliberava confermando in tutto e per tutto la sentenza di primo grado: cioè in senso totalmente sfavorevole alle ragioni del proprietario danneggiato. Difatti, secondo i giudici palermitani di primo e secondo grado, il danno subito a seguito del recesso del conduttore, non era stato affatto dimostrato in corso di giudizio, dal momento che non era stato prodotto né il contratto di locazione, né il recesso anticipato del conduttore, elementi che avrebbero potuto fare emergere la circostanza addotta dal ricorrente: la perdita economica derivante dal fatto che l'immobile era rimasto disabitato per 15 mesi, in quanto reso invivibile dalle infiltrazioni.

Quanto al danno in sé, ovvero la circostanza che le infiltrazioni avessero seriamente pregiudicato il normale godimento del bene da parte di chi ne esercitava diritti a vario titolo, secondo la Corte territoriale non era possibile alcun pronunciamento, in quanto la richiesta del ricorrente era totalmente improntata al danno da perdita di redditività del bene, ed a null'altro. Per niente soddisfatto dell'esito dei primi due gradi di giudizio, il proprietario dell'immobile si rivolgeva alla Cassazione.

“Doppia conforme” e principio di non contestazione
La suprema Corte, interviene con una sentenza alquanto essenziale, ma da cui si possono ricavare ed illustrare due principi procedurali molto importanti: la preclusione della “doppia conforme”, ed il “principio di non contestazione”.Vediamo di cosa si tratta, a cominciare dalla cosiddetta “doppia conforme”.

Ebbene, nel ritenere come del tutto esente da censure la sentenza della Corte palermitana, i giudici di Piazza Cavour fanno menzione della cosiddetta “doppia conforme”, senza specificare o aggiungere altro. Nel silenzio della sentenza che, come si diceva, ha un contenuto decisamente essenziale, appare doveroso nei confronti dei lettori dare qualche spiegazione.Cosa significa “doppia conforme”? E perché in presenza di una “doppia conforme”, la Cassazione ritiene di doversi limitare a confermare le statuizioni d'appello?

Ogni spiegazione è presto data.
Con l'espressione “doppia conforme”, si fa riferimento all'ipotesi in cui l'ordinanza di inammissibilità dell'appello, o la sentenza d'appello che lo rigetta, sia pronunciata per le medesime ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado. In buona sostanza, si è in presenza di una sentenza di primo grado e di una di secondo grado contenenti eguali valutazioni del fatto.La disciplina della preclusione derivante da tale omogeneità di pronunce nei due gradi di giudizio di merito, è contenuta nell'articolo 348 bis, commi 4 e 5 del Codice di procedura civile.

La norma stabilisce che, in ipotesi di questo tipo, sia esclusa la possibilità di ricorrere in Cassazione per il motivo di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 numero 5 del Codice di procedura civile).Cosa dovrebbe dunque fare il ricorrente per avere “ascolto” in Cassazione in presenza di una “doppia conforme”?Dovrebbe indicare le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado, e quelle poste a base della sentenza di rigetto/ordinanza di inammissibilità dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro totalmente diverse. In alternativa, dovrebbe addurre situazioni tali da escludere l'operatività della preclusione derivante da “doppia conforme”.

Esemplificando:
-l'ordinanza di inammissibilità/sentenza di rigetto in appello è motivata da ragioni processuali (tardività o difetto di specificità dei motivi), non contenendo tali decisioni alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame;
-il vizio di motivazione si fonda sul travisamento di una prova, la cui risultanza utilizzata per la decisione è smentita da uno specifico atto processuale.

Dopo aver spiegato cosa sia la “doppia conforme”, ci si può chiedere se la preclusione da essa derivante possa rappresentare una violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Ebbene, più che una violazione, la “doppia conforme” si traduce in un filtro di ragionevolezza, consentendo la riduzione del carico di lavoro sugli ermellini, e costringendo i ricorrenti a valutazioni più adeguate ed attente.Chiusa tale doverosa parentesi esplicativa, possiamo tornare alla sentenza emessa dai giudici di Piazza Cavour che, in buona sostanza, hanno ravvisato nel caso di specie la preclusione della “doppia conforme”. Difatti, il ricorrente adduce quale primo motivo di ricorso proprio quello di cui all'articolo 360 numero 5 del Codice di procedura civile, e non invece il travisamento della prova, ragioni processuali, o la differenza sostanziale delle ragioni sottese alle sentenze di primo e secondo grado.Già questo, basterebbe per comprendere il perché del rigetto del ricorso.

Ma vi è altro. Si parlava del secondo principio che si ricava dalla pronunzia in esame: il “principio di non contestazione”, previsto all'articolo 115 del Codice di procedura civile.Di cosa si tratta?Ebbene, il nostro Codice ci dice che, fatti salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Il Giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. Se la nozione di “doppia conforme” non è immediatamente comprensibile, soprattutto da parte dei “non addetti ai lavori”, nel caso del principio di cui all'articolo 115 del Codice di procedura civile, si può ben comprenderne la portata direttamente e semplicemente dalla lettera della norma.

Possiamo tornare al caso di specie, e dire che non appare veramente possibile fare ricorso a tale principio nell'interesse del ricorrente. Difatti, oltre a non essere stato dimostrato in corso di causa il mancato (o più gravoso) godimento dell'immobile a causa dell’infiltrazione, mediante specifica allegazione di prove, anche la richiesta risarcitoria del ricorrente non era stata formulata in atti nel senso di richiamare l'attenzione dei giudici sul danno da infiltrazione in quanto tale, ovvero indipendentemente dalla perdita economica da mancata locazione. I giudici, dunque, non erano nella condizione di dare applicazione al principio di non contestazione, neppure attraverso un libero convincimento formatosi in assenza di prove.Alla luce di quanto sin qui argomentato, il ricorso del proprietario dell'immobile danneggiato non merita alcun accoglimento, non essendo supportato da nessun elemento e/o principio procedurale.

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