Il condomino apparente non è legittimato ad impugnare la delibera
La mancanza di un atto che certifichi la proprietà del bene in capo all'impugnante, può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio ed è anche rilevabile d’ufficio
Un condomino impugnava dinnanzi al tribunale capitolino la delibera con cui l'assemblea aveva conferito mandato ad un legale perché procedesse al recupero coattivo del credito vantato dal condominio nei confronti di una società. Deduceva, in particolare, che la delibera era viziata perché difettava del numero necessario di teste. Il condominio resisteva eccependo, in particolare, il difetto di legittimazione processuale attiva. Il Tribunale di Roma (V sezione civile) accertava che l'impugnante non aveva fornito la prova della propria legittimazione per cui, con sentenza 14221 pubblicata il 9 settembre 2021, rigettava la domanda.
La decisione
Il giudicante ha osservato che è legittimato ad impugnare la delibera assembleare solo chi riveste la qualità di proprietario. Qualora il condominio contrasti l'avversa pretesa opponendo il difetto di legittimazione attiva dell'impugnante, graverà su quest’ultimo l’onere dimostrativo, da rendersi in forma documentale, della qualità di condomino. Ha sostenuto, inoltre, che nel diritto condominiale non vige né opera il principio della apparenza del diritto. Ragione per la quale condomino può essere considerato soltanto chi ha la titolarità dominicale esclusiva della proprietà di un cespite immobiliare ricadente in un plesso edilizio.
L'impugnante, a fondamento della propria qualità di condomino, ha allegato di essere proprietario di un vano cantinato omettendo, tuttavia, di fornire adeguata prova documentale di quanto asserito. Il decidente ha evidenziato che in altro giudizio l'impugnante aveva depositato visura storica dell'immobile dalla quale era emerso che lo stesso era censito nei registri catastali ed intestato ad una società. I documenti offerti dall'impugnante, fra cui la scheda anagrafica compilata e trasmessa all'amministratore, sono apparsi ininfluenti per dimostrare la titolarità dominicale dell'immobile. In estrema sintesi, non è stata dimostrata la piena e totale corrispondenza fra quanto asserito nelle difese processuali e la reale titolarità dell'immobile.
Legittimazione ad impugnare le delibere assembleari
Il potere di impugnare le delibere condominiali contrarie alla legge o al regolamento compete al proprietario dell'unità immobiliare in quanto titolare di un diritto reale. Solo i condòmini possono contestare le delibere condominiali. In proposito, la Suprema corte (Cassazione 19608/2020 e numero 27162/2018) e la giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma 4 settembre 2019, numero 16920) hanno chiarito che l’articolo 1137 Codice civile circoscrive il diritto di impugnare le delibere assembleari al condomino. Solo chi riveste tale qualità è legittimato ad impugnare la delibera assembleare. La qualità di condomino - ovvero di «avente diritto» ad intervenire all’assemblea e, conseguentemente, a poter impugnare le delibere - si collega alla legittimazione ad agire (che compete, come detto, a coloro i quali fanno valere in giudizio un diritto affermando di esserne titolari).
La legittimazione processuale all'azione difetta quando dalla domanda traspare che il soggetto impugnante non è un condomino perché privo del titolo di proprietà. Tale carenza, che si sostanzia nella mancanza o nella inadeguatezza di un valido titolo che certifichi la proprietà del bene in capo all'impugnante, può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio ed è finanche rilevabile d’ufficio. I giudici di legittimità hanno ribadito che l’accertamento del difetto di legittimazione non è assoggettato ad alcuna preclusione in quanto non si può attribuire il diritto di azione a chi non ha titolo per esercitarla.
Principio dell’apparenza, gli orientamenti giurisprudenziali
La tenuta obbligatoria del registro anagrafico condominiale dovrebbe comprimere i casi riguardanti soggetti che solo apparentemente rivestano la qualità di condòmini, cioè di proprietari di immobili. La più recente giurisprudenza è orientata ad escludere l'applicabilità del principio di apparenza al condominio. Le sezioni Unite della Cassazione (sentenza numero 5035/2002) hanno rafforzato l'orientamento negazionista chiarendo che nel rapporto condomino-condominio non si ravvisa l'esigenza di tutelare l’affidamento incolpevole del condominio dando corpo ad uno stato apparente per non pregiudicare il condominio. Quest'ultimo non è terzo, ma parte del rapporto per cui rispetto ad esso non è possibile convertire l’inesistente titolarità del diritto proprietario nella effettiva titolarità e l’inesistente legittimazione in una effettiva legittimazione nascente dalla situazione di apparenza.
Va quindi esclusa la necessità, ai fini della tutela della buona fede del condominio, di collegare effetti giuridici ad una situazione apparente. Altre pronunce (Cassazione 23621/2017 e numero 4866/2001) hanno osservato che il principio dell'apparenza del diritto non trova applicazione nei rapporti condominiali per due ordini di ragioni: la contitolarità dei condòmini in relazione alle spese ordinarie e straordinarie delle cose comuni e l'esistenza dei registri immobiliari che permette l'individuazione del reale proprietario di un immobile. Conseguentemente, il condomino apparente non può essere mai considerato un vero condomino per cui l'amministratore non potrà imporgli il pagamento di alcun onere condominiale. Gli è precluso il diritto ad essere convocato, ad intervenire in assemblea, a visionare ed estrarre carteggi condominiali nonché ad impugnare le delibere. Infine, qualora sia sconosciuto il proprietario di una unità immobiliare, l'amministratore del condominio ha il dovere di consultare i registri immobiliari.
Le rare pronunce di senso opposto
Va registrata una contrapposta linea giurisprudenziale (Cassazione 907/1981 e numero 9079/1990) che ammise l'invocabilità dell'apparenza del diritto anche nei rapporti condominiali. Tale orientamento, dapprima confermato (Cassazione 2617/1999), venne poi sconfessato (Cassazione 8824/2015) ribadendo che la tutela dell'apparenza del diritto non poteva essere invocata dall'amministratore che non aveva accertato nei pubblici registri l'effettiva titolarità dell'immobile. Secondo tale indirizzo, il regime giuridico della pubblicità costituisce un limite alla operatività del principio dell'apparenza poiché pubblicità ed apparenza sono istituti che si completano l'un l'altro, ma rispondono alle stesse finalità di tutela dei terzi di buona fede. In altri termini, sono alternativi.
Conclusioni
Alla luce di quanto precede, appare più plausibile la linea giurisprudenziale tesa a ritenere inapplicabile il principio dell'apparenza al condominio. Non è invocabile tale principio da parte dell'amministratore che trascuri di acclarare la titolarità del bene nei pubblici registri (Cassazione 8824/2015 e numero 15296/2011). In caso contrario, la delibera sarà annullabile (Cassazione 4026/2021). Né può sottacersi che l'articolo 1130, numero 6, Codice civile rende obbligatoria la tenuta del registro anagrafico condominiale e le comunicazione delle variazioni.