Condominio

Il diritto condominiale preso sul serio:quando la maggioranza prevista viene raggiunta, ma non basta

Le correzioni apportate dalla riforma hanno chiarito che in seconda convocazione la maggioranza è più bassa, ma doppia, perché va intesa con riferimento al valore dell’edificio

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di Ettore Ditta

La quotidianità delle vicende condominiali induce alcune persone ad un approccio delle questioni superficiale e acritico e così si vengono a presentare controversie che invece sarebbero facilmente evitabili. Uno di questi casi è quello della verifica del raggiungimento delle maggioranze assembleari che deve essere sempre valutata facendo riferimento alla normativa complessiva.

La maggioranza in seconda convocazione

Un caso emblematico riguarda la maggioranza deliberativa prevista per la seconda convocazione dall’articolo 1136 del Codice civile, che molto spesso, soprattutto prima della modifica introdotta dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, ha tratto in inganno i più disattenti proprio nella delicata fase della verifica dell’effettivo raggiungimento delle maggioranze stesse. Mentre per altre maggioranze previste dalle norme il problema non si può neppure presentare, invece riguardo alla maggioranza necessaria per l’approvazione delle delibere in seconda convocazione si poteva (e ancora si può) verificare una situazione peculiare, perché la disposizione che trova applicazione in tutti i casi per cui non sono previste maggioranze apposite è l’articolo 1136 del Codice civile.

Quest’ultimo, al comma 2, prevede adesso che in prima convocazione sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio, mentre al successivo comma 3, nella formulazione vigente stabilisce che, in seconda convocazione, la deliberazione è valida se viene approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio (invece, prima della riforma introdotta dalla legge 220/2012 ed entrata in vigore nel 2013, era previsto un numero di voti pari ad un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio, che quindi consentiva ancora di più prima della riforma, nel richiedere solo un terzo delle teste e un terzo dei millesimi – che in sostanza costituisce una “maggioranza” molto bassa per agevolare l’approvazione delle delibere - di approvare con più facilità una delibera).

Il caso specifico

Questa previsione però lasciava - soprattutto durante la vigenza della formulazione originaria dell’articolo 1136, - (ma pure adesso che è richiesta la maggioranza degli intervenuti ed un solo terzo del valore dell'edificio) - aperta la possibilità che, nella fase della deliberazione, i voti contrari, per teste e/o per millesimi, di fatto risultassero comunque superiori a quelli favorevoli, anche nei casi in cui la maggioranza prescritta dalla legge veniva formalmente raggiunta.In sostanza poteva capitare (ed è in concreto capitato) che la maggioranza prescritta dall’articolo 1136 risultasse raggiunta facendo riferimento ai voti favorevoli, anche quando – allo stesso tempo – la maggior parte dei condòmini considerati per le proprie “teste” o per i propri millesimi si esprimeva in senso contrario, concretizzando così una effettiva maggioranza sfavorevole alla delibera.

Il valore dell’edificio è il riferimento

Su questo aspetto si è espressa la giurisprudenza in varie occasioni per chiarire quale è la corretta modalità di applicazione delle disposizioni ricordate.La più recente di queste decisioni è Cassazione ordinanza 25558/2020, che richiamando a sua volta la precedente sentenza 6625/2004, ha ribadito che nel condominio la regola posta dall'articolo 1136, comma 3, con la maggioranza prevista prima della riforma del 2013 (data all’epoca da un numero di voti che rappresenta il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio), deve essere intesa nel senso che coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare invece un valore proprietario di fatto maggiore (per teste e/o per millesimi) rispetto a coloro che abbiano votato a favore, dal momento che l'intero articolo 1136 privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali.

Il caso esaminato dalla sentenza Cassazione 6625/2004 riguarda una delibera, relativa al bilancio consuntivo e preventivo, approvata dall'assemblea in seconda convocazione e impugnata da alcuni condòmini, in considerazione della superiorità dei dissenzienti sia per espressione di voto, che per valore dell'edificio. In proposito la Suprema corte ha osservato innanzitutto che bisogna interpretare in modo complessivo l'articolo 1136 tenendo conto che il suo primo e il suo secondo comma, in relazione alla validità delle delibere in prima convocazione, prevedono una doppia maggioranza anche deliberativa per la quale i voti favorevoli devono rappresentare la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Inoltre il terzo comma – per l’eventualità che in prima convocazione non sia stato possibile raggiungere il numero legale e per consentire che il condominio possa approvare comunque le deliberazioni - fissava (nel testo vigente all’epoca della sentenza 6625/2004), in maniera implicita, la maggioranza di un terzo dei partecipanti al condominio che rappresenti almeno un terzo del valore, prevedendo poi la medesima doppia maggioranza come limite minimo per la validità delle delibere (quorum che invece, dopo la riforma del 2013, è cambiato ed è costituito dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio).

Se partecipa all’assemblea solo un terzo dei condòmini

Da questa premessa la Corte di Cassazione ha tratto la conseguenza che quando partecipa all'assemblea un solo terzo dei condòmini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio, la deliberazione diventa valida se viene approvata all'unanimità e che invece, nel caso di una partecipazione più nutrita, la deliberazione rimane comunque soggetta al raggiungimento, da parte della maggioranza dei votanti a favore, del doppio quorum, ma non basta che la maggioranza dei votanti favorevoli rappresenti (sempre nel regime precedente alla riforma del 2013) solo un terzo del valore, perché è necessario anche che coloro che hanno votato contro l'approvazione comunque non rappresentino un valore maggiore rispetto agli altri, pure se numericamente inferiori, dal momento che la maggioranza deve essere tale non solo in relazione al numero di coloro che votano a favore, ma anche in relazione al valore del bene da essi rappresentato, perché altrimenti si conferirebbe, ai fini dell'approvazione delle delibere, una rilevanza maggiore al numero dei votanti rispetto al valore che essi rappresentano, mentre il disposto dell'articolo 1136 è ispirato al principio opposto.

In sostanza nella sentenza 6625/2004 è stato rilevato dalla Suprema Corte che l’articolo 1136, comma 3, dedicato alle deliberazioni in seconda convocazione, si fa carico dell'esigenza che il condominio possa comunque adottare le deliberazioni indispensabili, ma non può essere stravolta attraverso l’interpretazione e quindi è stato affermato che, per l'approvazione delle delibere assembleari in seconda convocazione, devono sussistere entrambe le maggioranze previste dall'articolo 1136, comma 3, e soprattutto che entrambe devono risultare maggioritarie rispetto al numero e alla rappresentatività dei partecipanti contrari all'approvazione.


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