Condominio

Il disturbo della quiete nel condominio tra i rumori del locale a piano terra ed il ripetuto suono del clacson

È stata inflitta condanna penale in quest’ultimo caso non una sanzione amministrativa

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di Giulio Benedetti

La Suprema corte torna sul tema del rumore in condominio con due interessanti pronunce. Partiamo dalla prima. Il Tribunale condannava, per il reato di disturbo del riposo e delle occupazioni dei condòmini, il titolare di un esercizio pubblico il cui impianto stereo diffondeva, di notte e oltre l ’orario consentito, rumori insopportabili. Il soggetto proponeva ricorso in Cassazione lamentando l'ingiustizia della sentenza perché la sua condotta rientrava in quella prevista dall'articolo 659, comma secondo, Codice penale che sanziona in via amministrativa la professione rumorosa esercitata condotta in difformità dell'autorizzazione.

Inoltre, il ricorrente sosteneva che non era stata eseguita la misurazione fonometrica del rumore, in realtà causato dagli avventori del locale, di cui non era responsabile solo perché era titolare dell'esercizio, e perché la sentenza era stata emessa sulla base delle sole testimonianze interessate dei condòmini che erano indispettiti e volevano chiudere il locale. Il ricorrente affermava l'insussistenza dell'elemento doloso o colposo della sua condotta, lamentava l'omessa concessione delle attenuanti generiche e della sospensione della pena, ingiustamente esclusi dal giudice sulla base di due risalenti sue condanne per guida in stato di ebbrezza e per falso ideologico. Infine, il titolare dell'esercizio sosteneva che il reato era estinto per l'intervenuta prescrizione.

La decisione della Suprema corte

La Cassazione (sentenza 24397/2022) dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente a pagare euro tremila alla Cassa delle ammende. Il giudice di legittimità affermava che il reato dell'articolo 659 Codice penale, nel caso trattato, è un reato abituale e non un reato istantaneo, sulla base della serie di segnalazioni effettuate ai carabinieri da soggetti che lamentavano rumori provenienti dal locale dell'imputato durante le ore notturne. La contravvenzione dell'articolo 659 è da considerarsi come reato eventualmente permanente (Cassazione 8351/2014) che si consuma con un'unica condotta rumorosa o di schiamazzi recante un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, qualora il titolare dell'attività ometta, con più azioni reiterate nel tempo, di ottemperare all'obbligo giuridico impostogli dalla norma di controllare che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in un danno alla pubblica incolumità.

Non ricorre l'ipotesi del secondo comma dell'articolo 659 Codice penale poiché il disturbo arrecato non solo ai condòmini e ad un'indistinta generalità di soggetti, non era solo quello prodotto dall'attività del locale, ma anche quello antropico cagionato dai suoi frequentatori. Pertanto, il titolare del locale non ottemperava all'obbligo giuridico, impostogli dal primo comma dell'articolo 659, di porre riparo all'emissione di rumore, sia proprio che antropico, che disturbasse il riposo e le occupazioni delle persone.

Il decalogo della legittimità

La corte di Cassazione stabiliva i seguenti principi:
- è soggetto alla sanzione amministrativa del secondo comma dell'articolo 659 Codice penale il soggetto che provochi il disturbo dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi in difformità alle disposizioni o alle prescrizioni dell'attività;
- ricorre la sanzione penale dell'articolo 659, primo comma,Codice penale nei confronti del soggetto che provochi il rumore, non nell'esercizio di un'attività, e se il rumore supera la normale tollerabilità, investa un numero indeterminato di persone, disturbi le loro occupazioni o il loro riposo (Cassazione 12967/2014; Cassazione 37196/2014);
- perché venga riconosciuto il reato dell'articolo 659, primo comma, è necessario che la condotta dell'agente incida sulla pubblica tranquillità, in modo da ridurla notevolmente, perché l'interesse del legislatore è di tutelare le pubblica quiete e la salute delle persone. Pertanto, i rumori devono avere una tale diffusività da disturbare un numero indeterminato di persone, anche delle stesse si lamenti una sola (Cassazione 47298/2011);
- risponde del reato dell'articolo 659, primo comma, il gestore del locale che non impedisca i continui schiamazzi degli avventori in sosta davanti allo stesso nelle ore notturne, poiché ha l'obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso alla pubblica Autorità, che la frequenza degli stessi non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica (Cassazione 1717/2020; Cassazione 14750/2020);
- per dimostrare la sussistenza del rumore il giudice non deve necessariamente ricorrere all'accertamento tecnico (Cassazione 11031/2015), poiché è sufficiente, come nel caso trattato, che i fatti siano pacifici, in relazione alla provenienza e all'entità delle emissioni rumorose, non contestate dal ricorrente che non ha impedito, per la durata di alcuni mesi, gli schiamazzi degli avventori: tale condotta reiterata evidenzia l'elemento soggettivo del reato;
- le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena possono essere negati dal giudice in presenza non soltanto di due precedenti sentenze di condanna, ma anche sulla base della constatazione della reiterazione da parte dell'imputato della condotta illecita per mesi e per la sua totale noncuranza delle lamentele reiterate dei vicini, indici di una gravità del fatto;
- la richiesta di dichiarazione di prescrizione del reato, maturata in data successiva alla pronuncia di secondo grado, non può essere affermata, poiché l'inammissibilità del ricorso in Cassazione impedisce il formarsi di un valido rapporto di impugnazione in cui dichiarare le cause di non punibilità ex articolo 129 Codice procedura penale (Cassazione 28848/2013).

Il ripetuto suono del clacson

Nell’altra pronuncia un condòmino era stato condannato dal Tribunale per la violazione dell'articolo 660 Codice penale poiché, per petulanza e per altri biasimevoli motivi, disturbava il vicino di casa, suonando ripetutamente, di giorno e di notte, il clacson della sua autovettura nella vicinanza dell'abitazione dello stesso. Il Tribunale, dopo avere sentito numerosi testimoni, escludeva la necessità di segnalare con il clacson la presenza dell'autovettura della condòmina per evitare sinistri stradali e che la segnalazione acustica, per le sue modalità prolungate, era incompatibile con quella di un utente stradale. La condòmina ricorreva alla Cassazione lamentando l'ingiustizia della condanna, affermando che la sua condotta non era punita penalmente, bensì con la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 156 del Dlgs 285/1992 e che la sua condotta era scriminata dalla guida del suo autoveicolo.

La Cassazione (sentenza 49268/2022) dichiarava inammissibile il ricorso e sosteneva che la condotta della condòmina non rientra nella disposizione prevista dall'articolo 156 del Dlgs 285/1992, bensì in quella dell'articolo 660 Codice penale, poiché è finalizzata a recare disturbo o fastidio e a turbare la tranquillità altrui, e che la norma mira a preservare la quiete e la tranquillità del soggetto passivo. Nel caso trattato non ricorre la violazione dell'articolo 659 Codice penale, perché, per la sussistenza del reato, non occorre che i rumori o le segnalazioni siano realizzati per petulanza, capriccio o per altri biasimevoli motivi, poiché tali requisiti sono estranei alla norma e rientrano, invece, nel diverso reato delle molestie o disturbo alle persone (Cassazione 4400/2000).

Il giudice di legittimità escludeva l'applicazione della causa di non punibilità ex articolo 131 bis Codice penale, perché la richiesta era inammissibile, in quanto era stata presentata per la prima volta nel giudizio di Cassazione, e in quanto tale causa di non punibilità non può trovare applicazione in relazione il reato dell'articolo 660 Codice penale nel caso di reiterazione della condotta tipica, senza necessità di esplicita motivazione sul punto (Cassazione 1523/2018).

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