Condominio

Il divieto del regolamento contrattuale di ospitare cliniche in condominio non riguarda le comunità alloggio

In queste ultime il servizio sanitario è esterno rispetto ai servizi di natura socio-assistenziale offerti

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di Rosario Dolce

I vincoli alla destinazione degli immobili presenti in condominio possono trovare ingresso in regolamenti di natura contrattuale, accettati espressamente da parte degli acquirenti e riportati in seno ai rogiti notarili e nelle note di trascrizione. Nonostante la presenza di simili clausole, tuttavia, non è sempre certa la portata della disposizione negoziale. Così, ad esempio, occorre fare intervenire il giudice per interpretarne la portata e comprendere l'effettiva efficacia.

I fatti di causa

Ciò è successo in una controversia tra il conduttore di un immobile destinato a «comunità alloggio per disagiati psichici» (qualificata come funzionale all'erogazione di servizi socio-assistenziali ed educativi) ed un condominio palermitano che, al proprio interno, constava della presenza di un regolamento contenente la seguente previsione normativa: «per quanto concerne la destinazione d'uso delle varie unità immobiliari, sono inibite le seguenti destinazioni: sanatori, cliniche, ambulatori e similari, esercizio di industria, attività rumorose o pericolose; restando invece consentito l'esercizio di qualsiasi forma di professione medica, e di quelle attività commerciali che si sogliono esplicare in appartamenti facenti parte di edifici destinati ad abitazioni civili, come sartorie, e altro».

Secondo il condominio la destinazione impressa da parte degli utilizzatori (comunità alloggio) doveva ritenersi incompatibile con la citata clausola, per cui chiedeva al Tribunale l'adozione di un provvedimento di accertamento collegato ad una inibitoria dalla prosecuzione. Dall'altra parte, invece, il titolare dell'impresa si difendeva assumendo che l'attività vietata dal regolamento non fosse specificatamente menzionata tra quelle inibite espressamente dal regolamento, e che, anzi, dovesse ritenersi compatibile con il quadro normativo appena definito.Il dilemma giuridico è così pervenuto dinanzi al decidente locale che ha dovuto risolverlo facendo riferimento agli articoli 1362 e seguenti Codice civile.

Le clausole restrittive

I punti fermi su cui fa leva il giudicante vengono tratti dagli arresti della giudisprudenza di legittimità, assumendosi che gli stessi sono costanti nel ritenere che il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare (ad esempio il rumore). La compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condòmini deve però risultare – così si soggiunge - da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze (Cassazione 21307/2016).

Le clausole del regolamento di condominio di natura contrattuale che contemplano divieti e limitazioni, in altri termini, devono essere interpretate in maniera rigorosa, secondo il contenuto che emerge dal dato letterale della norma regolamentare. Ciò premesso, secondo il decidente siciliano la clausola regolamentare citata non è idonea a ricondurre in sé anche la destinazione degli immobili a comunità alloggio per disabili.Secondo il Tribunale palermitano il regolamento condominiale in questione – che, generalmente, riporta una clausola ampiamente diffusa dal punto di vista contrattuale - intenderebbe vietare la destinazione degli immobili ad attività prevalentemente sanitarie, come appunto quelle offerte da ambulatori ,cliniche, sanatori (tanto da specificare subito dopo come, invece, sia consentito l'uso dell'immobile quale studio medico).

Le motivazioni

Viceversa, l'attività esercitata nell'immobile in questione non può ritenersi rientrante fra quelle dispensabili dagli ambulatori (locali destinati all'esame clinico e alla cura di infermi non ricoverati che può essere parte di un ospedale, per le cure extra-ospedaliere, o essere gestito da appositi enti o da professionisti privati), nè risulta equiparabile ai sanatori.Il sanatorio – per come motivato in sentenza - era in passato, infatti, un istituto ospedaliero ubicato in zone particolarmente climatiche e attrezzato in modo tale da offrire, oltre alle normali terapie mediche o chirurgiche, la possibilità di cure particolari - elioterapiche, igieniche e dietetiche - a determinate categorie di pazienti, in particolare a quelli affetti da tubercolosi.

Ora, nei sanatori, nelle cliniche (per tale intendendosi, invece, il luogo destinato allo studio delle scienze mediche e alla cura degli infermi), nelle Rsa e similari, il profilo sanitario è considerato insito alla natura del servizio, per come di carattere prevalente; siccome tali strutture sono principalmente deputate alla cura e al trattamento sanitario di determinate patologie o di determinate categorie di soggetti meritevoli di specifiche cure e di assistenza. Nelle comunità alloggio, invece, il servizio sanitario è esterno ed ultroneo rispetto ai servizi di natura socio-assistenziale offerti nella comunità.

Cosa sono le comunità alloggio

La circostanza poi che il decreto del presidente della Regione Sicilia 158 del 4 giugno 1996 preveda che nella Comunità alloggio debbano essere garantite prestazioni sanitarie non ha fatto venir meno il ragionamento del decidente sulla natura “socio-assistenziale” dell'attività svolta nell'immobile, visto che è stato parimenti ribadito che: «Nella comunità alloggio se un ospite necessiti di un trattamento sanitario è compito della cooperativa attivarsi affinchè l'ospite riceva tutte le cure necessarie o in ospedale o in ambulatorio o tramite visite specialistiche, domiciliari, in maniera del tutto analoga ad ogni comunità familiare».

In conclusione, il giudice della causa, ritenuto che l'attività svolta nelle comunità alloggio non possa essere, in alcun modo, assimilabile a quella dei «sanatori, cliniche, ambulatori e similari» ( in ragione della differente natura del servizio che non rientra tra le prestazioni sanitarie bensì tra i servizi “socio-assistenziali”), ha escluso che il regolamento negoziale citato fosse preclusivo alla destinazione dell'immobile per tali finalità, così respingendo l'azione di tutela della “proprietà” esperita da parte del condominio e salvaguardando, dall'altra parte, l'iniziativa economica e sociale privata intrapresa dal conduttore dell'immobile.

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