Condominio

In dieci anni due milioni di case in più, ma mancano dove serve

di Raffaele Lungarella

La crescita delle abitazioni registrate al Catasto si scontra con un minimo aumento (0,2%) degli immobili occupati stabilmente. Maggiore pressione sulle città, a Prato si sfiora il pieno utilizzo

La geografia del tasso di utilizzo del patrimonio residenziale dei capoluoghi di provincia è a macchia di leopardo. Vi sono città, come Prato e Livorno, in cui con nove case abitate su dieci si potrebbe parlare di pieno utilizzo; altre dove questo non arriva al 60%: è il caso di L’Aquila, Agrigento ed Enna. La forbice è molto aperta, ma non è agevole spiegare perché. Si nota però una più elevata percentuale delle case abitate dei capoluoghi delle regioni del Centro-nord e in buona parte di quelli con più popolazione: Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze sono città con un tasso di utilizzo che tocca almeno l’85 per cento. In una decina di anni hanno registrato un aumento del 6-7%, ma restano città in cui la domanda di case è più pressante che altrove e dove si sente la maggiore urgenza di iniziative politiche nel settore.

La mappa dell’utilizzo del patrimonio abitativo è il risultato delle elaborazioni, relative alle province del grafico in pagina, delle statistiche catastali al 31 dicembre 2022, da poco pubblicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate e dei dati sul censimento Istat sulle abitazioni nel 2021, messe in relazione con i dati del 2011. Per i capoluoghi, raffrontando i dati, sfasati di un anno, risulta che il 17% degli immobili registrati al accatasto, non era abitato al censimento.

Un patrimonio in crescita

Nel 2022 le abitazioni registrate al catasto erano 34,8 milioni, contro i 32,8 milioni del 2011. A questa crescita possono avere concorso sia l’accatastamento delle nuove costruzioni, sia la regolarizzazione al catasto di edifici esistenti. Non tutti gli immobili sono potenzialmente utilizzabili, una parte può essere costituita da unità degradate e ruderi non utilizzabili, però comunque iscritte al catasto: poiché non sono in grado di produrre reddito beneficiano di detrazioni fiscali, anche se potevano essere ristrutturare o ricostruite con il superbonus del 110 per cento. Per contro, ci sono anche case che non risultano al catasto per ragioni amministrative o per l’intenzione dei loro proprietari. Sono situazioni da considerare nella valutazione della percentuale di utilizzazione del patrimonio residenziale accatastato.

Nel 2022 il 70% delle abitazioni accatastate è risultato abitato. Il tasso di utilizzo ha fatto segnare un lieve progresso rispetto al 2011: +0,2%; è segno che nel periodo considerato il numero degli immobili residenziali Istat è cresciuto un poco più di quello delle case accatastate. La differenza tra il numero di abitazioni accatastate e abitate è fatta di seconde case, di immobili affittati per le vacanze, riservati agli affitti brevi o in condizioni precarie.

Tra il 2011 e il 2022 il peso dei capoluoghi di provincia sul totale è lievitato leggermente, ma resta al di sotto di un terzo del totale; nel caso di abitazioni accatastate, questa percentuale si è ridotta di un mezzo punto percentuale, ma si mantiene in tutti e due gli anni leggermente sopra un quarto del totale. La concentrazione di case abitate nei capoluoghi riflette quella del numero delle famiglie.

La mappatura dell’abitato

La sua crescita ha spostato solo di poco il baricentro del patrimonio immobiliare accatastato dalla “città” dei comuni capoluoghi di provincia alla “campagna” dei restanti paesi; un movimento in direzione contraria è stato, invece, provocato dall’aumento delle case abitate.

C’è una differenza rilevante tra città e campagna nel tasso di utilizzo del patrimonio residenziale. Lo scorso anno, nei capoluoghi ogni cento case accatastate 83 erano abitate, con un saldo positivo del 3,2% fra 2011 e 2022; negli altri comuni erano 66. La differenza è del 17%, in crescita di quattro punti rispetto al 2011. Si tratta di medie che nascondono una geografia variegata di cui è difficile individuare una chiave di lettura unitaria. Solo in sei delle province considerate (Ravenna, Mantova, Pisa, Caserta, Ragusa, Padova) la differenza del tasso di utilizzo delle abitazioni tra la città e la campagna ha il segno negativo; sono città diverse tra di loro per collocazione geografica, dimensione e importanza del loro patrimonio immobiliare, sia accatastato sia abitato, sul complesso delle rispettive province: a Ravenna è concentrato oltre il 40%, a Caserta non arriva al 10 per cento.

In tutte le altre province, la percentuale delle case abitate è sempre maggiore nei capoluoghi che nel resto dei comuni. Con differenze che oscillano tra l’oltre 40% di Ascoli Piceno e, a calare, a meno dell’1% a Cremona.

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