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In tema di affitti il giudice si limita a rilevare l’inadempimento dell’inquilino, non ne valuta la gravità

Per le locazioni abitative tale valutazione è predeterminata dagli articoli 5 e 55 della legge 392/78

di Selene Pascasi

Nelle locazioni di immobili ad uso abitativo, non spetta al giudice valutare la gravità della condotta dell'inquilino che abbia saltato i canoni, trattandosi di inadempimento che è la legge a presumere grave in presenza di due presupposti: mancato pagamento anche di una sola rata del mensile o degli oneri accessori per un importo superiore a due mesi e ritardo intollerabile cioè superiore ai venti giorni dalla scadenza prevista o, per gli oneri, al termine fissato per il loro versamento. Lo afferma il Tribunale di Treviso, con sentenza numero 207 del 9 febbraio 2022.

I fatti di causa

È una società ad intimare lo sfratto per morosità in relazione ad un appartamento per il quale non era stati pagati 4 mila euro di canoni. L'inquilina si oppone alla convalida dello sfratto sostenendo l'inutilizzabilità dell'alloggio per presenza diffusa di muffe in tutto il sottotetto. Inconveniente rimasto nonostante interventi esterni ed interni, per cui chiede la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno. Tentata inutilmente la mediazione, il giudice si sofferma sulla domanda di risoluzione. La donna, marca, non pagando il canone, aveva violato la sua obbligazione e – vertendosi in tema di responsabilità contrattuale – toccava a lei provare l'esatto adempimento dell'obbligazione o un fatto estintivo.

Il proprietario che agisce, difatti, può limitarsi a provare il mancato pagamento dei canoni e, depositando il contratto, la loro debenza. Nella vicenda, però, se la società aveva provato l'esistenza di un valido contratto di locazione, la conduttrice non era riuscita a discolparsi giustificandosi con la presenza di vizi dell'immobile tanto seri da esser costretta a comprare un impianto di ventilazione meccanica per attenuare il proliferare delle spore della muffa. Del resto, neppure i lavori sulle parti condominiali avevano risolto il problema.

Tuttavia, non solo la signora aveva usato, come camera e palestra, spazi non abitabili quali la soffitta, ma nonostante la situazione aveva deciso di acquistare l'alloggio stipulando una promessa di compravendita. Solo che, due mesi dopo, si era trasferita altrove mantenendo la disponibilità dell'appartamento e così aggravando i danni sui ponti termici visto l'impedito e costante ricambio d'aria. Era, pertanto, illegittima la sospensione del versamento dei canoni.

L’illegittimità della sospensione dei canoni

In effetti, come rilevano sempre i giudici, il conduttore non può astenersi dal versare il canone o ridurlo arbitrariamente, se si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, pur ricollegabile al locatore. La sospensione totale o parziale dei versamenti sarà legittima, quindi, solo ove venga a mancare totalmente la controprestazione del locatore o se dal suo inesatto adempimento derivi una riduzione del godimento e la sospensione dai mensili appaia giustificata dall'oggettiva proporzione delle rispettive violazioni. Giustificazione, nella specie, non era ravvisabile.

Infine, quanto alla gravità del comportamento dell'inquilina, è noto che per le locazioni abitative tale valutazione non spetti al giudice perché predeterminata dagli articoli 5 e 55 della legge 392/78. Norme che collegano la presunzione assoluta di gravità a due fattori: uno quantitativo (mancato pagamento di una sola rata del canone o degli oneri accessori per un importo superiore a due mensilità) e uno temporale (ritardo superiore a venti giorni dalla scadenza prevista e, per gli oneri, al termine indicato per il pagamento). In sostanza, il giudice può solo verificare la sussistenza dell'inadempimento che, nel caso concreto, era evidente. Si spiega in questi termini, la decisione del Tribunale di Treviso di dichiarare il contratto risolto per colpa della conduttrice e condannarla alla restituzione dell'appartamento.