Condominio

Indizi gravi, precisi e concordanti: così si scopre il negozio simulato ai danni del condominio

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di Ivana Consolo

L'autonomia privata consente alle parti di porre in essere una molteplicità di contratti.
Ma forse non tutti sanno che l'autonomia negoziale può addirittura portare a simulare determinati atti. Gli obiettivi perseguibili con un negozio simulato, possono essere eterogenei; ma nella maggiorparte dei casi, è la volontà di “salvare” il patrimonio da un'aggressione esecutiva che spinge verso questa espressione dell'autonomia contrattuale.
Nella sentenza civile numero 286 emessa dalla Corte d’appello di Genova lo scorso mese di marzo, ci viene spiegato attraverso quali elementi un giudice possa riconoscere l'avvenuta simulazione di un atto.
Andiamo ad esaminare il provvedimento.

Il giudizio di simulazione
La società proprietaria di un immobile oggetto di condominio veniva citata in giudizio dal condominio per far dichiarare la simulazione dell'atto di vendita con cui il fabbricato era stato trasmesso al figlio del legale rappresentante della società. La ragione che induceva il condominio a procedere in tal senso, era la sua posizione di creditore; difatti, qualche anno addietro, a causa di infiltrazioni d'acqua, si era verificato un serio danneggiamento ai box auto del fabbricato. A seguito di apposito giudizio, nel corso del quale veniva espletata CTU, i danni erano stati quantificati in euro 80.000,00, ed il condominio aveva già diffidato la società a provvedere al risarcimento.

La successiva vendita dell'immobile, già gravato da altre trascrizioni negative, aveva indotto il condominio a ritenere che la società avesse agito per vanificare tutte le possibili azioni creditorie. Veniva così presentato ricorso presso il Tribunale di Savona, che riconosceva la simulazione sulla scorta di alcuni elementi dotati della gravità, della precisione, e della concordanza tipici dei fatti posti a fondamento delle presunzioni di cui all’articolo 2729 del Codice civile. La società, contestando la consistenza ed il fondamento degli elementi valutati quali presunzioni semplici dal Tribunale, si rivolge alla Corte d'appello competente.

Simulazione e presunzione: nozioni e rilevanza
Ad essere investita della vicenda, è la Corte genovese che, dopo avere esaminato i motivi di appello spiegati dalla ricorrente, decide di confermare la sentenza del giudice di primo grado.Per comprendere appieno il provvedimento in esame, occorre preliminarmente fornire alcune spiegazioni.Anzitutto: cos'è la simulazione?Ebbene, nel novero dei negozi giuridici, esistono i cosiddetti negozi simulati.

Per capire in cosa essi consistano, dobbiamo partire dal considerare l'elemento essenziale di ogni negozio giuridico: la manifestazione di volontà. La manifestazione di volontà consiste in ciò che le parti negoziali desiderano realizzare attraverso il loro atto di autonomia privata. Se prendiamo in considerazione il contratto di compravendita, ciò che le parti desiderano realizzare è il trasferimento di proprietà di un dato bene. Per farlo, vi sarà una parte (il venditore) che manifesta la volontà di spogliarsi di un bene; ed un'altra parte (il compratore) che manifesta la volontà di acquisire al proprio patrimonio il bene di cui il venditore intende privarsi.

Il tutto, si realizzerà attraverso la formalizzazione di un atto in cui le parti si impegnano ai reciprochi obblighi nascenti dal negozio, tra cui il pagamento di una somma a titolo di corrispettivo del bene.Ma cosa succede se la volontà manifestata formalmente dalle parti è difforme da quella reale?Ebbene, in questo caso siamo in presenza di un negozio simulato; Tizio dice formalmente di voler vendere un bene a Caio, che dice formalmente di volerlo acquistare pagandone il relativo prezzo, ma in realtà, nessuno dei due vuole realmente ciò che formalmente dichiara (simulazione assoluta); oppure entrambi vogliono in realtà porre in essere un negozio differente da quello che appare formalmente (simulazione relativa).

Attenzione: non si è in presenza di un qualcosa di illecito; siamo in presenza di un negozio perfettamente lecito, regolarmente raccolto e formalizzato da un Notaio quando si debba procedere per atto pubblico, con tanto di controdichiarazioni formalizzate e scambiate tra le parti, che costituiscono il cosiddetto accordo simulatorio. Passiamo ora alla nozione di presunzione.Ebbene, la presunzione è un processo logico deduttivo con il quale il giudice raggiunge la prova di un fatto ignorato; l'articolo 2729 del Codice civile, stabilisce che il giudice può ammettere quali prove soltanto presunzioni gravi, precise, e concordanti. Ma i requisiti della gravità, precisione, e concordanza, devono essere posseduti dai fatti, noti e certi, posti a fondamento della prova presuntiva. Se la presunzione è una deduzione logica, non si può esigere che sia grave, precisa, e concordante.

Di un fatto, invece, è ben possibile esigere la certezza per la sua utilizzabilità quale tesi di un argomentare logico; ciò in quanto di un fatto concreto si può predicare la sua oggettività o meno, ma non la sua logicità, che invece attiene alla deduzione con la quale il giudice ricava la seconda dai primi.Perché è importante soffermarsi sulla nozione di presunzione?Perché se la domanda di simulazione viene proposta dai creditori, l'articolo 1417 del Codice civile consente la prova per presunzioni senza limiti. I creditori, non sono infatti in grado di procurarsi la controdichiarazione che normalmente è in possesso delle sole parti contraenti; ciò giustifica la possibilità per costoro, e solo per essi, di ricorrere alla presunzione.

La decisione della corte d'appello di Genova
A questo punto, avendo chiariti le nozioni e gli istituiti giuridici che vengono in rilievo, possiamo tornare al caso di specie.La Corte d'appello di Genova, esamina la sentenza di primo grado, e constata come in essa siano stati individuati quali elementi indiziari della simulazione le seguenti circostanze:
- la sussistenza di ragioni creditorie che potessero costituire valida motivazione per spossessarsi fittiziamente di un bene da sottrarre all'esecuzione forzata (il diritto del condominio ad introitare la somma cui era stata condannata la società per i danni cagionati);
- il fatto che l'acquirente fosse il figlio del legale rappresentante della società, e fosse inoltre uno studente privo di reddito, dunque potenzialmente non nella disponibilità dei mezzi necessari all'acquisto a titolo oneroso;
- la mancata prova del passaggio effettivo di denaro, preciso onere probatorio a carico della società convenuta, unitamente alla risposta fornita dalla Banca che aveva confermato il mancato incasso degli assegni menzionati nell'atto pubblico notarile come mezzo di pagamento.

Questi fatti, sono tutti gravi, precisi, e concordanti; possono pertanto costituire la base di un valido ragionamento logico giuridico che porti il giudice a trarre da fatti noti un qualcosa di ignoto: l'avvenuta simulazione della compravendita provata a mezzo di una presunzione. Secondo la Corte d'appello genovese, dunque, il provvedimento del Tribunale è incontestabile; il ricorso della società ricorrente non appare perciò meritevole di accoglimento alcuno.

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